La crisi della politica, la sconfitta del populismo, il valore delle competenze

Considerare l’affidamento dell’incarico di formare un nuovo governo a Mario Draghi – per evitare che l’Italia precipiti verso un voto anticipato nel pieno di una crisi sanitaria ed economica di portata inaudita – come la prova palmare del fallimento della politica è una verità parziale. La politica è infatti in crisi da molto tempo e nelle ultime elezioni del 2018 è stata clamorosamente sconfitta dall’antipolitica. Non bisogna dimenticare che meno di tre anni fa i 5 stelle arrivarono a raccogliere il 32,68 per cento dei voti, organizzando nelle piazze i “Vaffa day” contro la vecchia politica, mentre la lega di Salvini – che aveva trasformato il partito del secessionismo delle regioni ricche in un movimento “No Euro” e nazionalista – superava i voti di Forza Italia raggiungendo il 17,35 per cento dei consensi elettorali. Insomma, l’Italia si ritrovò ad essere l’unico paese dell’Unione Europea nel quale l’ondata populista era riuscita ad abbattere il vecchio sistema politico e a conquistare il governo. Forti del 51,30 per cento dei voti – e una percentuale di parlamentari ancora più alta – i due populismi siglarono un contratto di governo basato sulla sommatoria dei rispettivi programmi elettorali e, soprattutto, su due obiettivi politici comuni: abbattere la vecchia classe politica e aprire un conflitto con l’Europa e l’establishment per riaffermare la sovranità nazionale, la “volontà del popolo”, del quale si presentavano come gli unici interpreti. L’esperimento fallì grazie alla tenuta delle forze europeiste nelle elezioni per il Parlamento europeo del 2019 e alla scelta del movimento 5 stelle di non seguire più Salvini nella sfida all’Europa, che aveva ridimensionato il consenso elettorale al movimento e tirato la volata alla nuova lega nazionale. L’alleanza con il PD rappresentò l’unica strada praticabile per recuperare il sostegno dell’Unione Europea all’Italia e tentare di trasformare il movimento, che ancora rappresenta in parlamento il primo gruppo politico, in una forza di governo credibile. Quella scelta si è rivelata decisiva per dare al Paese un ancoraggio sicuro nella tempesta della pandemia, arrivata dopo pochi mesi dalla formazione del governo giallorosso. Senza lo scudo della BCE, senza il sostegno dei fondi europei alle indispensabili misure di tutela sociale e senza la svolta europea del Recovery Plan, l’Italia sarebbe stata travolta. Tuttavia quell’alleanza non è riuscita a portare la sua missione fino in fondo a causa delle contraddizioni che la nuova linea politica ha aperto nei 5 stelle e della manovra corsara di Matteo Renzi, preoccupato unicamente della sua sopravvivenza politica. In questo quadro la possibilità che si sta delineando, di una larghissima maggioranza parlamentare a sostegno di un governo Draghi, è certo anche la conseguenza di una politica che non ha superato la sua crisi acuta ma è soprattutto la presa d’atto della sconfitta durissima del populismo e del nazionalismo. Il Parlamento è ancora lo stesso del 2018 ma la gran parte dei parlamentari arrivati a Montecitorio e a Palazzo Madama cavalcando l’ondata populista si appresta a dare il proprio consenso ad un uomo che rappresenta l’opposto di quelle pulsioni antipolitiche e anti establishment che quella ondata avevano alimentato. Draghi infatti è l’uomo che ha salvato l’Euro e l’Europa dalle spinte nazionaliste, è l’ex direttore della Banca Centrale Europea, che a detta di Salvini e di Grillo massacrava i popoli europei per servire la grande finanza, è la massima espressione della competenza e dell’esperienza considerate – dai nuovi e più radicali aspiranti rottamatori della vecchia politica – come inutili pretesti invocati per impedire il ricambio di classe dirigente. Un ricambio che nei loro disegni doveva poggiare sul principio “dell’uno vale uno” e della superiorità “dell’uomo qualunque” interprete degli interessi e della moralità del popolo da contrapporre agli affari loschi e all’immortalità dei politici di professione e dei grandi burocrati dello Stato e della finanza, la superiorità della democrazia diretta contro quella rappresentativa. Attenzione non lo ritengo un male. Non è solo trasformismo. E’ comunque un bene che i predicatori dell’antipolitica prendano atto che non è quella la via per uscire dalla crisi sistemica che ci angoscia, anche se fa una certa impressione vedere Salvini passare in 24 ore dal mai con il PD e dal “No Euro” al “siamo in Europa” e al “non poniamo alcun veto”. Ma è ancora più importante che ne prendano atto quei settori ampi della società che li hanno sostenuti sperando in un cambiamento. Lega e cinque stelle dovranno fare i conti con una crisi di identità di non poco conto. Quel che è certo è che prendere atto di un fallimento, di una clamorosa svista, può essere l’inizio di una rigenerazione della politica e di quella riconfigurazione del sistema politico italiano che in tanti avvertono essere sempre più necessaria. Bisogna dare atto a Mattarella di una grande lungimiranza. Scegliendo Draghi ha messo in campo un “tecnico” di grande valore che non appartiene alla politica – nel senso che non può essere etichettato come una personalità riconducibile a questo o a quel partito – ma che è anche un europeista di prim’ordine e perciò emblema di una chiara e netta opzione politica. Ha imposto inoltre ai partiti e ai gruppi parlamentari il confronto con una personalità che è espressione di qualcosa con cui la politica deve saper ritrovare un rapporto forte se vuole uscire dalla sua crisi. Politica e cultura, politica e competenze, sono i due binomi fondamentali per ricostruire una capacità di lettura della realtà, un nuovo radicamento dei partiti in una società investita da profondi e continui mutamenti, una elaborazione di progetti credibili in grado di affrontare le grandi sfide del nostro tempo. Non sarà facile. Niente è scontato. Non basta constatare il fallimento dell’illusione sovranista per trovare le risposte all’insicurezza sociale. Tuttavia la via aperta da Mattarella non è il commissariamento della politica ma l’offerta di una opportunità per provare a salvare il Paese da una tragedia e al tempo stesso dare il tempo ai partiti e alle coalizioni di rifondarsi riconciliandosi con la politica di cui la società moderna ha estremo bisogno. Una politica che torni ad essere il più alto impegno ideale e culturale al servizio della comunità.

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