Cielo inquieto. Si alternano pioggia e schiarite. Ogni tanto le nubi diventano più scure, aumenta il vento e sembra arrivi un forte temporale. Ma, tranne questi momenti di breve durata, tutto sommato il tempo non è così inclemente come sembra. Questa è l’ultima giornata di una settimana francese. Noi siamo diretti nel cuore di Parigi. Anche se le nostre mete sono state in gran parte quelle meno battute dal turismo di massa non potevamo fare a meno oggi di venire dove i francesi vanno “per vedere e per farsi vedere”. Parlo dell’area che si estende dalla Chiesa della Maddalena all’Arco di Trionfo.
E’ la zona dei grandi marchi del lusso, dei palazzi del potere, degli Camps – Elysees, di grandi ristoranti, di Store, di gallerie.
Nei giorni scorsi abbiamo visto in ogni dove pattuglie di soldati o di poliziotti, armati di tutto punto, camminare per le strade affollate di turisti con i mitra imbracciati e pronti all’uso e i turisti fare a gara per strappare alle pattuglie in armi la foto ricordo, un po’ come si fa a Roma con i travestiti da gladiatori romani. Ma lo spiegamento di forze dell’ordine che c’è qui è impressionante. Stazionano mezzi militari ad ogni angolo di strada. Sugli Camps – Elysees non c’è galleria o grande negozio che non abbia la propria squadra di sicurezza privata: tutti sono rigorosamente neri, con abito e cravatta nera e camicia bianca (come se qualcuno avesse diramato un decreto in tal senso). Controllano tutte le borse ma non il resto. Antonio indossa una Smart jacket americana, di quelle con 100 tasche e una mappa in dotazione per ritrovarle, regalo di Susan Angelin. Dentro ci può stare di tutto e di più ma nessuno lo verifica, se non per fargli aprire un piccolo borsello. Poi in una delle tante gallerie rimaniamo in attesa davanti alla vetrina di un negozio. Uno degli addetti alla sicurezza si avvicina e ci chiede cosa stiamo a fare lì. Antonio lo guarda meravigliato ma risponde educatamene che aspettiamo le nostre signore. A me viene voglia di rispondere con una delle frasi colorite in dialetto napoletano che è pur sempre una lingua internazionale. Questa militarizzazione della città,questo eccesso di sicurezza a volte palesemente inutile e inefficace, tese più a rassicurare che non a prevenire, è una delle immagini più forti che ci porteremo da Parigi. Ma, tenendo conto delle modalità con cui si esprime questo terrorismo, a me tutta questa messa in scena fa un po’ sorridere. Ci rendiamo conto che tutto questo non serve a fermare chi è disponibile a farsi saltare in aria o ad investire con qualsiasi mezzo inermi cittadini e militari in servizio? Garantire sicurezza richiede ben altro, soprattutto sul piano dell’azione politica e su quello dell’intelligence. Sarà forse un po’ perché i negozi mi annoiano, un po’ per questo clima da blindatura della citta, ma non riesco a non associare quel che vedo qui con le notizie che leggo sulla stampa: una nuova strage di migranti, soprattutto adolescenti – nell’indifferenza di ampi settori dell’opinione pubblica , come ai tempi della Shoha – ; due capi di stato in possesso dell’atomica che continuano a sfidarsi, minacciandosi reciprocamente come bimbi capricciosi che giocano alla guerra, dando il là alla speculazione finanziaria per l’ennesimo storno estivo nelle borse. La verità è che siamo nell’era del caos e che ha ragione Papa Francesco quando dice che stiamo vivendo la terza guerra mondiale fatta pezzi e combattuta con altre armi. Se non ritorna un ruolo forte della politica l’ostentazione di forza e l’eccesso di controlli darà solo l’illusione della sicurezza. In realtà in gran parte è fumo destinato a diradarsi dopo ogni gesto che suscita terrore.