Il congresso nazionale del PD non scalda il cuore dei suoi elettori e dei suoi militanti e non riesce a parlare al Paese. Le brucianti sconfitte del 2018 e del 2022 segnalano una grave crisi di identità. In 15 anni si è consumato il fallimento del progetto originario di unificare le grandi e diverse tradizioni storiche del riformismo italiano sul terreno di un nuovo pensiero politico in grado di fare i conti con le grandi trasformazioni che hanno attraversato gli ultimi 30 anni, con una crisi sistemica globale che si manifesta attraverso un continuo avvicendamento di crisi di diversa natura ( politica, economica, finanziaria, sanitaria, ambientale), con contraddizioni insostenibili che mettono in discussione il futuro stesso dell’umanità. Gli ultimi due segretari nazionali hanno annunciato entrambi l’esigenza di cambiare tutto, di rivoluzionare il partito ma non sono riusciti a cambiare un bel nulla, sopraffatti dai giochi di potere di correnti personali guidate dall’ esclusivo interesse ad occupare i sempre più ristretti spazi istituzionali appannaggio del partito. Ora siamo sull’orlo di un precipizio, come dimostrano i sondaggi elettorali che ci danno sotto il 15 per cento, mentre l’Italia è nelle mani di una destra estremista che ha vinto le elezioni sposando istanze nazionaliste, demagogiche, populiste e ora appare confusa, divisa e incerta ma non per questo meno pericolosa per le prospettive del Paese. Un quadro allarmante che richiede al PD un congresso vero, capace di chiamare tutte le sue forze ad uno sforzo straordinario di analisi della società, di elaborazione politica, di apertura all’ascolto e al confronto con le forze migliori dell’Italia e dell’Europa. Ma di questo non vi è traccia. Tutto ruota intorno a 4 candidati a segretario che parlano per lo più per slogan e, tranne qualche diversa sfumatura, ripetono più o meno gli stessi concetti e proposte di una genericità disarmante. Insomma solo tattica senza strategia mentre un ceto politico sempre più ristretto si posiziona alla meglio in un gioco tutto interno. A Caserta le cose stanno ancora peggio. Tutto sì riduce a litigi continui sulla composizione della commissione di gestione delle regole e del voto, alla solita guerra delle tessere, senza neppure la parvenza di un confronto politico. Davvero nessuno comprende che non siamo neppure alla frutta ma già al caffè? C’è forse chi ritiene che in questa provincia il PD possa ancora reggere appoggiandosi solo ad amministrazioni locali che se rimangono ancora chiuse ciascuna a rincorrere le proprie emergenze non hanno un grande futuro? Forse siamo ancora in tempo per provare a fermare un declino evidente. A patto di riuscire ad riaprire il confronto sul ruolo che questo partito può proporre per un territorio strategico per la Campania e l’intero Mezzogiorno. Possiamo provare a mettere da parte le guerre fratricide – che non appassionano più nessuno – e s impegnarci tutti insieme a promuovere un confronto stringente sulla visione che abbiamo del nostro territorio? Pensiamo che la Campania sia ancora la sommatoria di una fascia costiera, una pianura e una zona interna separate e contrapposte tra loro? O invece che le grandi trasformazioni degli ultimi settant’anni hanno dato forma ad una unica città regione costituita da una enorme conurbazione che si estende, senza soluzione di continuità, da Capua, a Caserta, Aversa, alle province di Napoli e Salerno e da una ancora più estesa area interna che ne costituisce il suo cuore verde? Possiamo provare con il nostro congresso provinciale a delineare un progetto di valorizzazione delle tante funzioni di eccellenza e di valore meridionale – nel campo dell’alta formazione, della ricerca avanzata, dell’intermodalita’, dell’industria innovativa – che i nuovi sistemi urbani dell’area meridionale della nostra provincia esercitano ormai da decenni? Possiamo impegnare le nostre amministrazioni comunali delle principali città di terra di lavoro su un terreno diverso da quello della chiusura localistica di questi anni? Possiamo tentare di proiettarle verso una forma di unione politica che rilanci una programmazione di area vasta necessaria per accrescere la qualità del tessuto urbano e la qualità della vita delle persone? Possiamo lavorare a forme di governo dei nuovi sistemi urbani che restituiscano ad ogni città una funzione trainante nella diffusione delle spinte innovative verso le aree interne per aiutarle a valorizzare le vocazioni dei loro territori? Certo non è semplice dopo anni di appiattimento sul piccolo cabotaggio e di sistematica distruzione di ogni luogo di dibattito, di confronto, di costruzione di un pensiero ed una iniziativa collettivi. Tuttavia è questo l’unico terreno che può riaprire i nostri circoli – che io tornerei a chiamare sezioni – restituire a tanti militanti, che non ne possono più di troppi personalismi, la voglia di tornare a discutere, a fare politica, a rapportarsi con una società sempre più lontana dalla politica, come dimostra la crescita vertiginosa dell’astensione in ogni tipo di consultazione elettorale. Possiamo ancora evitare la deriva dell’autodistruzione. Mettiamo al centro del congresso la Politica, il Pensiero, il Progetto. Forse non risaliremo immediatamente la china ma almeno daremmo a tanti che cercano disperatamente un punto di riferimento per provare a reagire alla crisi della politica profonda che stiamo vivendo da troppo tempo, la possibilità di tornare in campo, di ritrovare la voglia di venire a votare nei nostri gazebo che stavolta rischiano di registrare un livello di partecipazione che può sancire il declino di quello che è ormai diventato un “non partito.

Riflessioni puntuali e molto opportune
Manca il confronto con il territorio
Il tuo suggerimento di ripristinare le sezioni potrebbe rimotivare l’elettore
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Speriamo non resti solo un sogno utopico. Mi sa che ci si attrezza di nuovo all’annichilimento del concetto stesso di politica sia a livello nazionale che locale
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