La lega crolla perché l’Europa va

Secondo i sondaggi politici delle ultime settimane la lega in versione nazionalista di Matteo Salvini ha avuto negli ultimi due mesi un vero e proprio crollo che si aggira intorno agli otto punti sui 34 che aveva alle Europee, pari a circa il 24 % di elettori in meno. È un dato clamoroso che ha molte motivazioni riducibili in ultima analisi ad una. La rapida e violenta recessione innescata dalla pandemia da Covid – 19 ha dimostrato che non esiste una via nazionale all’uscita dalla grave e lunga crisi di questo inizio secolo, mentre l’Europa – nonostante i suoi innegabili ritardi sul terreno dell’integrazione e la inadeguatezza del suo assetto istituzionale – si dimostra essere l’unico ancoraggio per evitare una deriva greca per l’Italia che, per ciò che noi rappresentiamo in termini di PIL e di debito pubblico, minerebbe l’economia di tutto il continente. Lo sostengo da tempo e l’ho scritto su questo blog quando, all’inizio della pandemia gli euroscettici pensavano fosse giunta l’ora per ritornare alla vecchia e insostenibile sovranità nazionale. Tralascio motivazioni più generali che rinvendicano un maggiore europeismo anche al di là dell’attuale emergenza sanitaria: penso alle grandi questioni dei cambiamenti climatici, delle grandi migrazioni, delle esigenze di competitività in un mercato dominato da attori che sono dei veri giganti continentali e globali. Voglio limitarmi a dimostrare in soldoni – l’unico linguaggio che purtroppo conta in un mondo ossessionato dalla logica del profitto – cosa rappresenta per noi l’Europa in questa fase drammatica. Il lungo lockdown imposto dal Covid avrà un costo esorbitante per il nostro debito. Le previsioni ipotizzano una crescita dal 130 al 150/160% del rapporto debito pubblico / PIL. Senza una Banca Centrale Europea che ha rilanciato immediatamente il programma di acquisto di titoli la spesa per interessi peserebbe sul bilancio dello Stato in modo insostenibile e i mercati ne trarrebbero conseguenze facilmente immaginabili. Se poi consideriamo anche il sostegno in liquidità che la BCE fornisce al nostro sistema bancario – per non fare mancare credito a famiglie e imprese – dovrebbe essere chiaro a tutti il vantaggio rappresentato da una politica monetaria comune. Ma la pandemia ha prodotto anche una pronta risposta in termini di politica fiscale da parte della Commissione Europea: 100 miliardi di euro per la cassa integrazione; 200 per il sostegno alla liquidità delle imprese; 300 miliardi dei fondi del MES da utilizzare per rafforzare la risposta dei sistemi sanitari nazionali; 500 miliardi di Recovery Fund che, secondo il patto franco tedesco, si appoggerebbero al bilancio settennale della UE. Facciamo i conti sui vantaggi per il nostro paese anche limitandoci a considerare solo gli ultimi due punti richiamati che entro luglio dovrebbero vedere la definizione nei dettagli anche per i Recovery Fund. L’Italia può prelevare dal MES fino a 36 miliardi di euro da investire per il sistema sanitario da restituire in 10 anni al tasso dello 0,10%. Tenendo conto che l’attuale costo degli interessi sul BTP decennale si aggira intorno all’1,55% il risparmio sarebbe di 6 miliardi, senza voler considerare che in assenza del piano di acquisto della BCE il tasso di interesse sul BTP decennale sarebbe di gran lunga maggiore di quell’1,55%. Ancora più consistente il vantaggio con i Recovery Fund. L’Italia, infatti, potrebbe contare fino 20%, circa 100 miliardi di euro. Considerando che l’appoggio del prestito sul bilancio comunitario comporta la partecipazione dei vari paesi secondo il principio della proporzionalità, l’Italia dovrebbe restituire al bilancio comunitario per solo 60 miliardi sui 100 utilizzati. Lascio a voi il compito di immaginare dove saremmo ora senza queste opportunità. Certo la pronta risposta della BCE e della UE è attualmente scontata dai mercati che non a caso hanno recuperato moltissimo sui minimi dell’anno. Tuttavia ci sono ancora tante incertezze sui tempi della pandemia. Se dovesse presentarsi una seconda ondata di Covid sarebbe impossibile puntare ad una ripresa a V, caratterizzata cioè da una risalita altrettanto violenta e rapida quanto la discesa di marzo. I rischi, dunque, sono ancora alti perché è evidente che un prolungamento del lockdown oltre il primo semestre produrrebbe non solo una recessione più forte ma anche danni permanenti alle imprese. Ma non e anche questo un motivo in più per puntare sull’Europa? Se il governo farà cadere i residui di populismo dannoso che pure lo condizionano e rafforzerà la sua iniziativa europeista con la lega potrebbe non esserci più partita.

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