Il trionfo dei conservatori e la netta sconfitta dei laburisti nelle elezioni di ieri in Gran Bretagna dovrebbero portare alla chiusura definitiva della polemica tra sinistra riformista e sinistra radicale. Dico dovrebbero perché mi è molto nota l’ottusità che a sinistra sa resistere ad ogni dura “replica della storia”, per usare una espressione di Norberto Bobbio (rubata ad Hegel) che dedicò non poco del suo impegno politico e culturale alla ricerca di uno sbocco unitario alle due anime della sinistra italiana del secolo scorso: quella comunista e quella socialista. Oggi la situazione è ovviamente molto diversa ma tuttavia resta attuale la necessità di liberare la sinistra da vecchi stereotipi per renderne incisiva la sua funzione nel tempo che viviamo qui ed ora. Corbyn ha proposto all’elettorato un programma nettamente spostato a sinistra: forti politiche redistributive, nazionalizzazione dei settori strategici, estensione dello stato sociale, dall’istruzione alla sanità. Non è servito, però, ad evitare la vittoria dei conservatori, nonostante la scelta della Brexit si sia rivelata tutt’altro che utile a rilanciare l’economia britannica. Il labour ha vinto a Londra ma ha perso nel resto del Paese, roccaforti operaie comprese. Perchè? La risposta non può che essere una: i principali beneficiari della svolta a sinistra non l’hanno ritenuta praticabile nella dimensione nazionale. E come dargli torto? La sinistra serve se è in grado di far avanzare le ragioni del lavoro su quelle del capitale e della rendita. Se riesce a cambiare la logica capitalistica del primato del profitto. Ma come lo fai se gli attori dell’economia e della finanza hanno più forza e più potere dello Stato? La ragione della sconfitta di Corbyn è la stessa che ha decretato quella della cosiddetta terza via. Non ci sono grandi margini di redistribuzione della ricchezza se si rimane chiusi nella dimensione nazionale. Di fronte alla globalizzazione sregolata che ha spostato tutto il potere nelle mani delle grandi concentrazioni economiche e finanziarie la sinistra ha una sola strada da seguire per rendere efficaci le sue politiche; quella di costruire uno Stato di dimensione continentale che abbia la massa critica necessaria per dettare le regole al mercato e farle rispettare, garantendo il primato dell’interesse pubblico su quello della logica del profitto. La società occidentale attribuisce la caduta di benessere e di speranza nel futuro al dominio che la globalizzazione sregolata degli ultimi 30 anni ha garantito al capitale ed e convinta che la soluzione stia nel ritorno dentro le vecchie frontiere nazionali. La destra estrema lo ha capito e ne approfitta per dare il colpo mortale alla democrazia rappresentativa. E’ una strada senza sbocco perché il mondo nel quale viviamo non è quello degli anni settanta. E’ cambiato e continua a cambiare vorticosamente. Se anche la sinistra rimane con la testa nel XX secolo non costruisce l’alternativa concreta ad una illusione che può essere fatale per l’umanità. L’alternativa di fronte alla quale si è trovata la Gran Bretagna era tra l’andare avanti con la Brexit oppure tornare in Europa. I conservatori hanno offerto una risposta alle forze che vogliono seguire la via nazionalista, mentre le forze europeiste, che pure avevano qualcosa da dire dopo l’esperienza di questi anni, sono rimaste divise. Il labour è stato ambiguo ai tempi del referendum ed è rimasto sostanzialmente neutrale in queste elezioni rispetto alla questione cruciale della Brexit. Non ha posto comunque l’Europa come la soluzione vera ai problemi della Gran Bretagna. Allo stesso modo le forze della sinistra europea rimangono timide di fronte all’urgenza di accelerare sul terreno dell’integrazione politica dell’Europa, schierandosi in modo netto e, soprattutto, battendosi con proposte concrete e con vigore perché gli Stati nazionali cedano sovranità all’Europa nei campi cruciali del fisco, del debito, delle politiche per la crescita e nella politica estera. C’è una omogeneità impressionante tra l’inizio di questo secolo e quello del secolo scorso. Sia il XX che il XXI secolo hanno mosso i primi passi nel pieno di una crisi gravissima del capitalismo. Nel secolo scorso la Grande Depressione fu la conseguenza della crisi di sovrapproduzione dovuta a quella concentrazione della ricchezza che è nella dinamica strutturale del capitalismo. La sinistra non capì e inseguì l’illusione della costruzione del socialismo in un solo Paese, smentendo tutto ciò che l’analisi marxiana aveva elaborato. Le conseguenze si chiamarono fascismo e nazismo, che determinarono costi sociali devastanti e furono sconfitti solo quando la sinistra e le forze democratiche capirono che bisognava mettere da parte i distinguo per dare vita ad una grande alleanza antifascista. Anche in Italia il PCI e il PSI dopo l’armistizio non si posero il problema di puntare subito sulla Repubblica e su un programma radicale di sinistra ma costruirono una grande alleanza, perfino con il Re, per sconfiggere i tedeschi. Oggi la Grande Recessione è la conseguenza del crollo del capitalismo finanziario, che fin qui è stato puntellato da una immissione di liquidità senza precedenti, assolutamente insufficiente a restituire ai lavoratori e ai ceti medi il benessere perduto e la speranza in un futuro migliore. Oggi serve subito una grande alleanza di tutte le forze convinte che senza costruire gli Stati Uniti d’Europa non sarà possibile ricostruire un orizzonte di democrazia e di progresso. Se la sinistra non capirà che è questa la priorità non fermeremo i nazionalismi e la storia si ripeterà anche in un contesto così diverso. Non vedere i segni già evidenti di questo rischio e non trarne le conseguenze sul piano teorico, programmatico e politico è un errore imperdonabile.
