perché la finanziaria possibile non crea consensi

La finanziaria 2020 approda in parlamento. E’ un mezzo miracolo. Una manovra da 30 miliardi, infatti, è stata definita senza ricorrere a grandi balzelli, come è sempre avvenuto in passato. Una plastictax molto mirata, accompagnata da incentivi fiscali per chi riconverte gli impianti al biodegradabile, è più una tassa ecologica – volta a colpire l’inquinamento e a sollecitare un cambiamento positivo – che non una vera tassa. Un piccolo prelievo sulle bibite zuccherate e sul fumo sono davvero poca cosa per lasciar credere alla favola di un governo che mette le mani nelle tasche degli italiani. La web tax – che anticipa in Italia un provvedimento del quale in Europa si discute da tempo – è la prima vera misura volta a colpire – nei limiti consentiti ad un paese solo – l’elusione delle multinazionali che vanno a pagare fuori le tasse sugli affari online fatti in Italia. Ma non è certo la tassazione che può indispettire i ceti medi. Aumentare l’IVA avrebbe tolto dalle nostre tasche molto ma molto di più. A ben vedere gran parte delle risorse vengono dal calo dello spread, dall’aumento delle entrate prodotto dall’introduzione della fattura fiscale, da risparmi prodotti dall’accentramento nella gestione di acquisti e appalti. Perché dunque non si avverte nel Paese un grande consenso nei confronti di questa manovra? Certo in parte pesa la propaganda strumentale e falsa delle opposizioni, cui corrisponde, purtroppo, una scarsa coesione delle forze che sostengono il governo Conte 2 – a causa delle esigenze di visibilità di Renzi da un lato e Di Maio dall’altro, entrambi troppo preoccupati del loro consenso per pensare agli interessi del Paese. Ma questo non spiega tutto. Conta molto il fatto che più di 23 dei 30 miliardi della manovra servono per evitare l’aumento dell’IVA, per scongiurare la polpetta avvelenata lasciata da Salvini. Gran parte degli elettori apprezzano solo miglioramenti tangibili nella loro condizione e un mancato aumento dell’IVA è considerato solo un pericolo scampato. Qualcosa che conta molto meno del piacere che produce l’idea di poter pagare meno tasse. Con i 7 miliardi che rimangono si destinano un po di risorse ai redditi medio bassi – tagliando per tre miliardi il cuneo fiscale ed estendendo gli “80 euro di Renzi” ai redditi fino a 36 mila euro (mille euro l’anno in più per i lavoratori dipendenti) -, si stanziano un po di fondi per le famiglie, si abolisce il superticket nella sanità, vengono prorogate industria 4.0, si stanziano fondi per il rinnovo dei contratti dei pubblici dipendenti, dell’Ape sociale e della “opzione donna”. Non è poco se si considera che non vengono toccate quota cento e il reddito di cittadinanza, due misure del governo giallonero che l’anno scorso avevano fatto schizzare lo spread ad oltre trecento punti. E’ perfino troppo se si considerano le reali possibilità di un Paese come il nostro che deve sopportare un debito pubblico superiore al 130% del PIL. Insomma nella situazione data è davvero difficile smentire il ministro della Finanze Gualtieri quando dice che hanno fatto un miracolo. Eppure non paga. Non si avverte nel Paese un consenso, un apprezzamento per questa manovra che pure si annunciava tutta “lacrime e sangue”. Perché? Davvero gli italiani non riescono a capire che se si fosse seguita la strada di Salvini – quella di una legge finanziaria più generosa ma finanziata con un deficit più alto – oggi saremmo tutti nei guai? Avremmo uno spread alle stelle, la spesa per interessi sul debito pubblico lievitata, le banche in ginocchio, le imprese nostrane con costi del credito proibitivi e i capitali esteri di nuovo in fuga dall’Italia. Certo anche questo è vero. Non ci sono più i partiti di un tempo che erano in grado di spiegare le cose e di svolgere una funzione pedagogica. Ma c’è dell’altro. Manca una coalizione di governo unita da una visione del futuro condivisa. Una visione comune in grado di trasmettere all’opinione pubblica la consapevolezza che oggi dobbiamo accontentarci di galleggiare, di un piccolo miglioramento che allevia le sofferenze ma non sana la malattia, perché questo ci serve per avere domani un futuro migliore. La verità è dunque questa: abbiamo una finanziaria che qui ed ora meglio non poteva fare. E tuttavia non è sufficiente per rispondere al malessere che da troppo tempo affligge la società italiana che non riesce più a intravedere un orizzonte di crescita e di benessere. Il governo in carica non ha alternative. Ma deve saper trovare una unità di intenti e una visione comune del futuro dell’Italia, possibile solo dentro l’orizzonte di una nuova Europa. Stare insieme solo per necessità non basta ad evitare il peggio. Serve un salto di qualità sul piano politico. La finanziaria 2020 forse avrebbe altra accoglienza se fosse vista come un primo passo di un progetto credibile di più ampio respiro. E’ quello che manca e che le forze politiche che sostengono il governo devono sforzarsi di costruire. Se il governo vuole durare fino alla fine della legislatura e impedire davvero che l’Italia cada nelle braccia di una destra estrema per avviarsi verso una nuova avventura distruttiva.

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