Dopo gli alti e bassi dei giorni scorsi ora prevalgono nettamente le probabilità di un esito positivo del tentativo di Conte di dare vita ad un nuovo governo. L’ultimo deciso intervento di Grillo – che suona come un fermo richiamo ai suoi e una scelta definitiva di affidarsi totalmente a Conte (sono esausto, basta parlare di posti) – ha spianato la strada ad un accordo. L’ultimo ostacolo non è il ruolo di Di Maio – ormai di fatto sfiduciato dal leader e dal gruppo parlamentare – nel futuro governo, che in qualche modo sarà risolto ma il pronunciamento della piattaforma Rousseau, saldamente nelle mani di Casaleggio, le cui perplessità sull’accordo con il PD sono note. Le divergenze tra i due fondatori durano da un po’ e sono maturate man mano che l’esperienza con la lega si è rivelata un errore che il movimento sta pagando a caro prezzo. Sul programma un accordo si sta trovando e, come Conte ha dichiarato stamane, non sarà un nuovo contratto, inteso come sommatoria di tutti i diversi desideri dei contraenti, ma un vero accordo di programma basato innanzitutto sulla condivisione dei principi ispiratori. Se sarà un programma realistico allora davvero il mutamento dei cinque stelle avrà posto le sue basi. Il se è d’obbligo. Infatti al momento abbiamo solo due indizi della possibile svolta: il passaggio di leadership da Di Maio a Conte e la rinuncia da parte del movimento agli aspetti demagogici delle sue proposte (che non poteva non arrivare dopo la scelta definitiva di lavorare per un cambiamento dentro le regole europee che è stato il vero atto di rottura con la lega). Ma come dice Agatha Christie “un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova“. Vedremo domani se la prova arriverà. In ogni caso qualunque sarà il risultato il panorama politico italiano è destinato a conoscere un nuovo sommovimento e una profonda riorganizzazione. È chiaro, infatti, che se dovesse arrivare un no all’accordo i 5 stelle si spaccheranno e i gruppi parlamentari andranno avanti autonomamente. Non può che essere così perché la costituzione del governo giallonero aveva segnato la definitiva fine del sistema tripolare che il 4 marzo aveva affossato il vecchio bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra. Nessuno dei tre poli aveva ottenuto la maggioranza. Per giunta il vecchio centrodestra si ritrovava con la lega – trasformata da Salvini da partito di un pezzo del Paese in una forza sovranista – come forza trainante della coalizione al posto di Forza Italia. Il PD vedeva tramontare l’illusione della vocazione maggioritaria. I 5 stelle erano divenuti il partito di maggioranza relativa sulla base di un programma demagogico, molto distante sia da quello del centro destra che da quello del pd. La scelta di sommare in un unico contratto di governo gli opposti e insostenibili programmi dei 5 stelle (il reddito di cittadinanza, il no ad alcune opere pubbliche e la lotta alla vecchia classe politica) e della lega (la riduzione delle tasse con una aliquota unica che favoriva i ricchi e lotta all’immigrazione clandestina attraverso la chiusura dei porti – che in un Paese circondato dal mare, da spiagge e approdi naturali equivale ad una autentica demenzialità) si è presto rivelata velleitaria. L’ unica possibilità per rendere praticabile quel contratto (e questo nella prima stesura del contratto era scritto nero su bianco) era aumentare a dismisura un debito publico già elevatissimo tornando a stampare una propria moneta e uscendo dall’Euro. Salvini lo ha sottoscritto con questo obiettivo sapendo che in tal modo a rimanere in campo sarebbe rimasto solo uno dei due diversi populismi che avevano incontrato il favore dell’elettorato. E cioè il suo populismo sovranista, che è quello che scuote tutto l’Occidente, nell’illusione che il caos della globalizzazione sregolata può essere superato attraverso un ritorno alle vecchie frontiere nazionali più che dalla edificazione di un nuovo ordine internazionale. I fatti hanno dimostrato la pericolosità di quella impostazione ( lo spread ritornato a salire vertiginosamente fino alla marcia indietro imposta dall’Europa e mediata da Conte e Tria per evitare il collasso del Paese). Inoltre le elezioni regionali e ancor più quelle europee hanno dimostrato che in quel quadro si restringeva sempre di più lo spazio per i cinque stelle, dentro cui si è aperto uno scontro molto aspro che ha divisi anche i due soci fondatori. Anche perché in un contesto continentale nel quale lo scontro ormai è chiaramente tra sovranismo e nuovo europeismo si stava tornando nei fatti ad un bipolarismo nuovo tra un destracentro rappresentato dall’ala sovranista del vecchio centrodestra (lega e fratelli d’Italia) e un nuovo centrosinistra più largo, incentrato sul pd di Zingaretti che apriva una fase nuova fondata sull’apertura a tutte le forze di progresso. Insomma per i 5 stelle si imponeva una scelta: o aderire pienamente alla politica sovranista e anti UE di Salvini o contribuire a ridisegnare un nuovo centrosinistra capace di dare alle istanze positive di cambiamento, presenti in una parte del loro elettorato, una prospettiva di governo. Se nascerà il governo Conte non potrà che essere una vera alleanza politica di lungo termine.
