Il PD va alle consultazioni sulla linea di Zingaretti

L’esito della direzione del PD è chiaro. Il partito andrà a dire al Presidente della Repubblica che non è disponibile a un governo di transizione che abbia il solo compito di approvare la finanziaria per andare al voto in primavera. O ci sono le condizioni per un governo di legislatura, che si muova nella direzione opposta a quella imboccata governo giallonero, oppure meglio votare subito senza paura, prospettando al Paese quale è la vera posta in gioco. È importante che la direzione abbia dato mandato a Zingaretti di trattare su questa linea che non è quella di Renzi. Questa è la linea di chi è consapevole che Salvini non si batte con la tattica, limitandosi a spostare di qualche mese la data del voto, ma indicando con chiarezza agli italiani che dalla crisi si esce solo seguendo non la strada della chiusura nazionalista ma quella dell’integrazione europea, l’unica capace di costruire una nuova Europa. Salvini, infatti, non è arrivato al livello di consensi elevato raggiunto nelle elezioni europee perché è stato solo bravo nella manovra politica. Lui ha spostato la lega su posizioni politiche che sposano in pieno le ragioni dell’ondata di populismo nazionalista che attraversa tutto l’Occidente. C’è una parte rilevante dell’opinione pubblica, in particolare di quella più colpita dalla globalizzazione di stampo neoliberista degli ultimi 30 anni, che di fronte ai cambiamenti radicali in atto si sente spaesata, impaurita per il proprio futuro e soprattutto impotente davanti allo strapotere dei grandi poteri globali economici e finanziari. In assenza di una prospettiva credibile di democratizzazione del processo di globalizzazione prevalgono in queste forze la paura e l’illusione di potersi difendere e di ritrovare la sovranità perduta tornando al passato, attraverso il ripristino dei confini nazionali. È una posizione antistorica di chi non si rende conto di come è cambiato il mondo in questi anni e di quanto siano inefficaci le politiche del passato in presenza di trasformazioni nelle tecnologie, nelle comunicazioni, nel sistema economico che rendono l’interdipendenza la caratteristica ineludibile di questo tempo. Bisogna dire che il populismo nazionalista non ha vinto le elezioni italiane del 4 marzo del 2018 ma si è rafforzato dopo che un altro populismo, quello antipolitico dei 5 stelle, lo ha portato al governo. I cinque stelle, convinti che tutto dipende dalla semplice alternanza di classi dirigenti, dalla sostituzione dei vecchi politici con l’uomo della strada che è sempre stato lontano dalla politica (giudicata corrotta in quanto tale), pur di andare al governo hanno accettato un contratto basato (eccezion fatta per la bandiera del reddito di cittadinanza) sulla linea politica della lega: dalle politiche migratorie, a quelle della sicurezza, alla flat tax. Il populismo nazionalista è riuscito così a raddoppiare i suoi consensi nel Paese. L’esito delle elezioni europee ha però contenuto la spinta sovranista e la debolezza della linea della lega è stata così messa a nudo davanti a tutti. Affrontare in questo quadro il passaggio della finanziaria 2020 per Salvini era impossibile in presenza di un alleato di governo che non era disponibile a rompere con l’Europa. Una manovra da circa 50 miliardi, necessaria per porre rimedio ai guasti prodotti in un anno di governo caratterizzato da demagogia e irresponsabilità, Salvini non vuole farla perché finirebbe per perdere quello che è riuscito a conquistare grazie all’ingenuità del suo alleato di governo. Di qui la scelta di far cadere il governo e andare subito al voto per capitalizzare il livello di consenso raggiunto, nella speranza di poter ottenere la maggioranza assoluta e di poter poi attuare il suo folle disegno di portare l’Italia fuori dall’Euro imponendo una svolta autoritaria. È chiaro che questo pericolo non si può contenere limitandosi a guadagnare pochi mesi prima di tornare alle urne. Un governo che si limiti a varare una finanziaria che eviti il solo aumento dell’IVA, senza impostare una manovra orientata alla crescita (che non può non avere respiro più lungo) non farebbe altro che portare aulteriori consensi a Salvini. Un governo politico in grado di impostare un programma per i prossimi tre anni e mezzo presuppone due condizioni. La prima che il PD sia in grado di darsi un programma di cambiamento e di grande respiro, che non può essere la semplice riproposizione dell’azione del tutto inadeguata dei suoi precedenti governi. La seconda che i 5 stelle facciano autocritica e decidano, dopo la fase della protesta antipolitica e dell’illusione dell’uomo qualunque, cosa voglio essere. La premessa c è ed è la consapevolezza maturata in Conte e Tria che non c’è futuro per l’Italia fuori dall’Europa. È una premessa molto importante ma non basta. Si tratta di stracciare il contratto di governo con la lega, prendere atto che non è vero che destra e sinistra sono concetti superati e di darsi un progetto politico vero. Saranno in grado PD e 5 stelle di maturare in brave tempo una svolta così chiara e netta? È difficile ma è giusto provarci per dare una prospettiva al Paese. I 5 punti che stasera Zingaretti indicherà a Mattarella per un governo di legislatura sono quali giusti per raccogliere questa sfida. Chiudo riportandoli integralmente perché sia chiaro di cosa si sta parlando: “Appartenenza leale all’Unione europea; pieno riconoscimento della democrazia rappresentativa, a partire dalla centralità del parlamento; sviluppo basto sulla sostenibilità ambientale; cambio nella gestione di flussi migratori,con pieno protagonismo dell’Europa; svolta delle ricette economiche e sociali, in chiave redistributiva, che apra una stagione di investimenti”.

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