Il difficile equilibrio tra “l’Io” e il “Noi” e il ruolo della politica

Eugenio Scalfari, nonostante abbia superato da tempo i novant’anni, rimane tra i pochi giornalisti capaci di suscitare riflessioni profonde. È il caso dell’editoriale di stamane nel quale constata come la politica incontri grandi difficoltà ad affermare il valore del bene comune. Un valore che dovrebbe accomunare sia la destra che la sinistra le cui divisioni attengono solo al modo di realizzarlo: attraverso la conservazione dei vecchi valori e programmi (la destra) oppure proponendone di nuovi (la sinistra) più aderenti alle continue trasformazioni economiche e sociali. Ciò che di questo editoriale mi ha fatto maggiormente riflettere è il punto di partenza: “la nostra è una specie determinata dall’Io portata a pensare soprattutto,se non esclusivamente, a se stessa”. Difficile dargli torto. La storia ci insegna che il nostro “Io” ha trovato un equilibrio con il “Noi” solo per la inevitabile necessità di vivere in comunità, che è poi all’origine della nascita delle città. La vita in comunità è alla base delle politica che è nata come l’arte di garantire l’ordine e la giustizia nella vita pubblica. Non a caso le due parole città e politica in greco condividono la stessa radice. Quando la politica fallisce la sua funzione salta quell’equilibrio tra l’Io e il Noi che è alla base del bene comune. Ma perché la politica oggi fatica ad esercitare la sua naturale funzione? Qui il discorso si fa complicato e rischia di diventare troppo lungo per lo spazio di un articolo. Lo limito, pertanto, alla mia personale esperienza. Appartengo ad una generazione nata nel decennio successivo alla fine della seconda guerra mondiale. Nella società di quel tempo l’equilibrio tra l’Io” e il noi” pendeva decisamente a favore del Noi. L’esigenza primaria, infatti, era quella di rimuovere le macerie della guerra. Poi arrivò lo sviluppo industriale e con esso la nascita della classe operaia della grande fabbrica. Il bene comune e gli interessi di “classe” erano perciò ben visibili, anzi perfino palmari, e rappresentavano un collante sociale fortissimo che facilitava il compito della politica. Ciò che ha mutato radicalmente il quadro è certamente la “grande trasformazione” indotta dalle nuove tecnologie. È cambiato tutto: il nostro modo di studiare, di lavorare e di vivere. Siamo finiti in una società molto frammentata, caratterizzata dalla tecnologia digitale che ha ampliato in modo straordinario per ciascuno di noi l’accesso alle informazioni e la possibilità di comunicazione. Una “società liquida” che ci offre grandi opportunità ma che ha determinato una caduta impressionante delle relazioni sociali, una “disintermediazione” del rapporto con il sapere, il lavoro e la politica. Se a ciò aggiungiamo che l’ innovazione tecnologica – e l’estrema competizione che caratterizza la struttura del nostro sistema economico – spingono oggettivamente ad una velocizzazione delle decisioni, appare evidente la notevole difficoltà della politica ad esercitare quel suo ruolo naturale di affermazione del bene comune. Soprattutto nell’ ambito di un sistema democratico che deve essere necessariamente fondato sul governo collegiale, sul consenso e sulla capacità di persuasione. In modo anche autocritico bisogna riconoscere che certe riforme di sistema, tese a rendere le istituzioni più adeguate alle esigenze dell’ economia e della società moderne, hanno finito per complicare anziché facilitare il ruolo della politica. Come non vedere che l’introduzione della preferenza unica, dell’elezione diretta dei Sindaci e dei presidenti di Regione hanno fatto prevalere l”Io” sul “Noi” anche dentro la rappresentanza politica e istituzionale? Insomma siamo finiti in una trappola dalla quale ora è molto difficile uscire. Reggerà a questo urto terribile il sistema democratico? Ora è davvero difficile dirlo. Certo ci può aiutare la consapevolezza del bivio di fronte al quale ci troviamo.

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