L’OCSE ha tagliato le previsioni di crescita per il 2019 confermando il rallentamento in atto nell’economia globale. La crescita dell’Eurozona scenderà all’1%, molto distante dal livello di crescita medio dei Paesi del G 20 e del Mondo, che si prevede rispettivamente al 3,5% e al 3,3%. Sempre secondo le stime dell’OCSE l’Italia è l’unico paese dell’Eurozona a portare il segno meno con una previsione del -0,2%. Sarà, dunque, per noi un anno di recessione in compagnia di Argentina (-1,5%) e Turchia (-1,8%). Le ragioni del rallentamento globale sono note e sono tutte da addebitare agli effetti della “guerra dei dazi”, iniziata fin dall’inizio dello scorso anno da Trump, e alle tante incertezze politiche che caratterizzano da un po la situazione internazionale: da quelle legate all’esito delle trattative in atto tra USA e Cina, per evitare che la guerra dei dazi si trasformi in una più ampia guerra commerciale (un fronte dal quale pare giungano segnali positivi); a quelle legate alla Brexit ed alle prossime elezioni europee. Se l’Italia registra non solo la recessione tecnica, già segnalata dalla contrazione del PIL negli ultimi due mesi del 2018, ma anche una previsione di recessione per l’intero 2019 non possiamo certo prendercela solo con la congiuntura internazionale. In realtà noi stiamo cominciando a pagare il prezzo della manovra economica demagogica e irresponsabile del governo giallonero. Una manovra che in pochi mesi ha fatto scappare dall’Italia decine di miliardi di investimenti esteri, ha prodotto l’aumento dello spread, con il conseguente aumento del costo del debito pubblico e la contrazione del credito per le imprese e per le famiglie, ha determinato nelle forze produttive del paese un clima di incertezza che è sempre nemico degli investimenti. Purtroppo questo è solo un assaggio del conto salatissimo che arriverà subito dopo le elezioni europee, quando si dovrà mettere necessariamente mano ad una manovra correttiva dei conti pubblici. Infatti le entrate del bilancio dello Stato sono state stimate sulla base di una previsione di crescita del PIL all’1%, mentre il costo di alcune misure finanziate in deficit (e non attraverso un taglio degli sprechi) si rivelerà ben più consistente di quello preventivato. A quel punto non basteranno i due miliardi congelati dalle norme di salvaguardia concordate con la UE nel dicembre scorso e non resterà che procedere all’aumento dell’IVA al 26%. Sarà quello il colpo di grazia che finirà per deprimere ancor più consumi e investimenti. Si può ancora fare qualcosa per evitare questo scenario terribile? Certo è molto difficile ma è decisivo che le forze sane facciano sentire presto la propria voce.
