Non ci sono solo le brutte previsioni sulla crescita del PIL nel 2019, che vedono l’Italia fanalino di coda della locomotiva europea, o l’ulteriore bocciatura, arrivata proprio oggi da parte della UE, dei conti pubblici del nostro Paese – indicato come fonte di instabilità macroeconomica dell’intero continente – a segnalare come ci stiamo allontanando sempre di più dall’Europa. Il distacco si manifesta anche sul terreno della politica. Ho già parlato nei giorni scorsi sulle pagine di questo blog del patto di Aquisgrana tra Francia e Germania. E’ un patto dal duplice obiettivo: rafforzare l’asse franco tedesco come vero motore di una riscrittura dell’attuale impianto europeo e, al tempo stesso, tutelarsi da un possibile stallo del cammino europeo – in conseguenza delle crescenti pulsioni populiste in atto alla vigilia del rinnovo del parlamento Europeo – attraverso un patto di integrazione economica e politica tra i due paesi, aperto a successive adesioni da parte di altre nazioni che ne condividono lo spirito. Difficile non accorgersi che su questa strada si registrano quotidianamente ulteriori passi in avanti. E’ di pochi giorni fa la presentazione a Berlino – da parte dei ministri delle Finanze e dell’Economia di Francia e Germania – di un manifesto per una nuova strategia industriale tesa a difendere l’industria europea da una concorrenza sempre più aggressiva da parte della Cina e degli USA. Anche in questo caso si coglie la volontà di agire su due fronti: da un lato i due paesi si fanno promotori di una proposta rivolta a tutta l’Unione Europea di rivedere le regole antitrust, partendo da una maggiore considerazione della dimensione globale del mercato e quindi della concorrenza; dall’altro avviano tra loro, concretamente, una cooperazione più stretta su investimenti ed innovazione nel campo dell’intelligenza artificiale, della microelettronica, della sicurezza informatica, dell’idrogeno, dei processi industriali a basso contenuto di carbonio, del trasferimento della ricerca nei settori della sanità, dei trasporti, della robotica. Insomma, anche in un campo decisivo per il futuro, come quello della politica industriale, mi pare che Francia e Germania prendono atto che l’Europa così com’è non riesce a tutelare le proprie imprese dallo svantaggio competitivo – rispetto alle industrie delle potenze continentali – e avanzano a tutta l’Unione proposte di modifica delle attuali regole per il controllo degli investimenti esteri e per rafforzare i settori strategici dell’industria europea, ma, per tutelarsi da lungaggini e difficoltà di decisione, rafforzano, al tempo stesso, fin da subito la reciproca collaborazione ed integrazione politica ed economica. Dunque proprio nel momento in cui prende sempre più forma quella Europa a due velocità, da più parti auspicata da tempo, l’Italia, che pure è uno dei paesi fondatori dell’UE e dell’Euro, appare sempre più isolata. Le responsabilità di questo isolamento sono chiare. A dettare la politica dell’attuale governo è soprattutto la lega di Salvini, alleata con tutte le forze euroscettiche che vogliono tornare a prima di Maastricht e che vedono con il fumo negli occhi ogni ipotesi vera integrazione economica e politica, in nome di una sovranità nazionale ormai resa insignificante dai processi di innovazione tecnologica e dalla dimensione globale dei mercati. Come ha detto giustamente Draghi l’Euro e l’Europa in realtà sono gli unici strumenti in grado di garantire un recupero della sovranità perduta da parte delle nazioni e, soprattutto, dei cittadini. Eppure non passa giorno che non porti un elemento di prova sulla velleità del progetto politico dell’attuale governo. Perfino l’Istat stamane, pubblicando i dati sulla fiducia di consumatori e imprese, arrivata ai livelli più bassi degli ultimi 18 mesi, certifica i timori di una recessione prolungata per l’Italia. Questa più accentuata frenata dell’Italia rispetto a tutti i paesi dell’eurozona non è forse la conseguenza delle incertezze politiche suscitate dall’attuale politica del nuovo governo? Certo vedere il paese che ancora rappresenta la seconda manifattura del continente tagliato fuori dal tentativo di rilancio di una vera politica industriale è una cosa che fa una certa impressione. Una opposizione che vuole diventare una alternativa credibile farebbe bene ad incalzare il governo e a mobilitare l’opinione pubblica soprattutto su questo terreno.
