Abruzzo: voto indicatore dei mutamenti politici in atto dopo la scossa del 4 Marzo

Proviamo ad analizzare il voto abruzzese facendoci aiutare dalla natura. Immaginiamo che la grande crisi del 2008 sia la forza che ha messo in movimento le placche tettoniche della politica mondiale e che il voto del 4 marzo si stato uno degli effetti più forti di questo movimento e cioè un forte terremoto dell’interplacca sul confine italiano. Come tutti i terremoti di altissima magnitudo è stato preceduto da uno sciame sismico (le elezioni a Roma, in alcune regioni e il risultato del referendum di Renzi) ed ora è accompagnato da una serie di eventi secondari, di quelli molto forti, che seguono la scossa principale (le elezioni nel collegio senatoriale sardo, le regionali in Abruzzo di domenica scorsa). Come nei terremoti naturali la quantità di energia accumulata e liberata distorce e poi pian piano modella la crosta terrestre così la scossa politica prodotta dal voto del 4 marzo libera l’energia – accumulata nella società italiana per il malessere sociale causato dalla grande crisi – e attraverso scosse di assestamento comincia a rimodellare il sistema politico. Il voto di domenica scorsa in Abbruzzo ha rappresentato una di quelle scosse di assestamento che cominciano a far intravedere come sta effettivamente cambiando la fisionomia del sistema politico. Un tratto già chiaro è quello che riguarda la destra, dove non c’è più il vecchio centro-destra ma un destra-centro a trazione leghista, con caratteri spiccatamente xenofobi e nazionalisti e con un bagaglio di consensi attualmente già superiore a quella soglia del 40% necessaria per ottenere la maggioranza in parlamento alle prossime elezioni politiche. Con molta probabilità a competere con questo schieramento ci sarà un centro sinistra che non è più quello imperniato su un PD a vocazione maggioritaria, come lo abbiamo conosciuto prima della scossa del 4 Marzo. Le elezioni regionali abruzzesi hanno confermato il netto ridimensionamento del PD ma hanno anche chiaramente evidenziato che, in presenza di candidature credibili e di un chiaro profilo riformista europeo, una vasta alleanza di centrosinistra, sul modello dell’Ulivo, può collocarsi oggi intorno a un 30% dei voti. Una solida base da cui ripartire per ricostruirsi come alternativa di governo. Il movimento cinque stelle, che certamente è stato il principale catalizzatore dell’energia liberatasi nell’epicentro del terremoto, è entrato velocemente nella sua parabola discendente. Infatti sul piano elettorale i pentastellati subiscono un vero e proprio tracollo, quasi il dimezzamento dei consensi ottenuti in quella regione il 4 marzo e una flessione rispetto alle precedenti elezioni regionali. E’ risibile il tentativo di sminuire questa sonora sconfitta sulla base della tesi della imparagonabilità delle elezioni regionali con quelle politiche. Infatti, la portata del divario tra voto politico e voto amministrativo e la conferma del forte ridimensionamento dei consensi politici al movimento, segnalata da tutti i sondaggi di questi ultimi mesi dei principali istituti di indagini demoscopiche,  lasciano pochi spazi ai bizantinismi. Il movimento cinque stelle è cresciuto rapidamente raccogliendo gli scontenti e la rabbia di ogni colore politico sulla base di una ambiguità di fondo manifestata su tutte le più importanti questioni sociali e politiche di questa fase e di un approccio palesemente demagogico. Messo alla prova del governo ha tradito molte delle promesse dispensate nella campagna elettorale. E’ stato costretto, inoltre, a dover assumere delle decisioni che hanno scontentato ampi settori del suo elettorato. Soprattutto ha svelato la mancanza di un personale politico minimamente credibile sul piano delle competenze e delle capacità di governo. E’ accaduto prima nelle città nelle quali hanno vinto le elezioni amministrative ed ora alla guida  di importanti ministeri. Come la storia insegna il qualunquismo alla fine non produce altro che lo sdoganamento e il rafforzamento della destra. Ed infatti Salvini, nonostante sia venuto meno sulla promessa del taglio della flat tax, alla fine incarna un preciso progetto politico: quello del ritorno alle vecchie sovranità nazionali, nell’illusione che trasformando i confini in muri si possono contenere gli effetti della crisi globale. Una idea folle ed antistorica che tuttavia in questo momento raccoglie un vasto consenso in Occidente, come la Brexit e l’elezione di Trump hanno dimostrato. Anche perché una via nuova, credibile e fondata sulla riforma dell’ordine internazionale ancora non prende forma. Di certo dopo questo voto il governo giallonero non può avere vita lunga. Le elezioni per il parlamento europeo segnano, per ovvie ragioni, il limite massimo della sua durata. Dove e quando arriveranno le prossime scosse di assestamento non possiamo prevederlo. Tuttavia una certezza c’è. Nulla tornerà come prima.

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