Ancora dati preoccupanti per l’economia italiana

Dopo i brutti dati sul PIL del 3° trimestre 2018 – tornato in negativo dopo anni – e sull’aumento della disoccupazione arrivano altre notizie estremamente negative per l’Italia. Dati che confermano sia la fase di contrazione della nostra economia, sia la perdita di peso dell’Italia in Europa. L’Istat ha comunicato il dato del PMI manifatturiero di novembre. Un dato particolarmente significativo perch èbasato su una indagine tra i direttori degli acquisti delle industrie. Ebbene questo indice è continuato a scendere sotto i 50 punti, passando dai 49,2 punti di ottobre ai 48,6 di novembre. Si conferma, per il secondo mese consecutivo, sotto la soglia dei 50 punti, valore che indica una economia in contrazione e segnala una maggiore probabilità di registrare a fine anno una riduzione del PIL anche per il quarto trimestre. Insomma è sempre più evidente che l’obiettivo di una crescita dell’1,5% nel 2019, indicato dal governo nella finanziaria per il prossimo esercizio di bilancio, è del tutto irrealistico. Con questi dati appare già un’impresa ardua riuscire ad evitare una recessione per l’Italia di cui ha ieri esplicitamente parlato Goldman Sachs. Il dato è ancora più preoccupante se si considera che per le altre grandi economie Europee (Germania, Francia e Spagna) si registra invece un miglioramento dell’indice PMI (quello medio europeo è a 51,8 punti). Una realtà amara che dovrebbe spingere ancor più il governo a dialogare con l’Europa, ad evitare una procedura di infrazione e ad avviare un confronto volto a definire con l’UE una strategia comune per affrontare una fase complicata che, se vede il rischio recessione per l’Italia, registra anche un rallentamento della crescita nel Continente. Da questo punto di vista il quadro rimane ancora confuso. E’ vero, infatti, che il governo ha aperto un dialogo con l’Europa e si è impegnato a rivedere la manovra con un conseguente allentamento della pressione dei mercati sullo spread. Tuttavia la soluzione che si prospetta, e cioè una riduzione del deficit di bilancio per il 2019 di pochi decimali, non appare sufficiente ad impedire l’avvio della procedura di infrazione. Tanto più che la sovrastima delle entrate – basate su una previsione di crescita ormai smentita da tutti gli indicatori economici anticipatori del ciclo – è ormai indifendibile e rivela un deficit in realtà molto più alto del 2,4 indicato nel DEF. La questione è tanto più seria se si considera che a fine anno avranno termine gli allentamenti quantitativi da parte della Banca Centrale Europea e ciò renderà ancora più fragile e insostenibile la situazione del debito pubblico del nostro Paese. A ciò si aggiunga che l’Italia dal prossimo anno perderà peso nell’ambito della Banca Centrale Europea e ciò inciderà negativamente anche nell’ambito del programma di reinvestimento dei titoli in scadenza acquistati dal 2015 al 2018 dalla BCE. In sostanza ogni cinque anni vengono riviste le quote di partecipazione nel capitale della Banca Centrale Europea dei vari paesi dell’Eurozona, sulla base di due parametri: il PIL e la popolazione. L’Italia, sulla base dell’ultimo rilevamento, ha perso terreno su entrambi i fronti e di conseguenza la sua quota scende dello 0,5%, per attestarsi al 16,95%.  Siccome gli acquisti di titoli del debito pubblico da parte della BCE sono parametrati alle quote possedute nel capitale sociale da ogni Paese, nel 2019 l’Italia, in teoria, potrebbe andare incontro ad una riduzione, nel programma di riacquisto dei titoli in scadenza, di circa un miliardo di Euro rispetto alle previsioni. Un miliardo in più da cercare sul mercato. Comunque il 19 dicembre è vicino, i tempi ormai stringono e si riduce lo spazio delle chiacchiere. Non bastano più i toni concilianti.  Il governo dovrà dire presto se e come intende concretamente rivedere la sua finanziaria. Dopo mesi di promesse e di arroganza è giunto il momento di fare i conti con la dura realtà

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