Manovra già saltata, governo in balia delle onde fino alle Europee

La manovra del governo è già saltata e non perchè lo spread è già ora a livelli che nel lungo termine l’economia italiana non può tollerare. I dati economici resi noti in questi giorni rendono palmare quanto avevano sostenuto sia la Banca d’Italia che il Fondo Monetario Internazionale: l’obiettivo di una crescita all’1,5% nel 2019 è lontano mille miglia dalla realtà. Infatti, i dati sul PIL del terzo trimestre del 2018 segnalano che l’Italia, dopo tre anni, ha smesso di crescere e ha toccato la soglia zero. A questo punto l’1.2% di incremento del PIL atteso per fine anno (già inferiore dello 0,3% rispetto a quello programmato) non è raggiungibile. La crescita tendenziale è allo 0,8 e a questo punto è realistico ipotizzare una crescita del PIL dell’1% a fine anno. Questo in soldoni significa che il primo 0,5% di deficit, previsto dalla manovra del governo per il 2019 servirà per recuperare lo scarto tra crescita programmata e crescita realizzata. Ovviamente – considerando che il FMI vede la crescita globale per il 2019 in rallentamento – quell’1,5% di crescita del PIL programmata per il 2019 – su cui il governo ha calcolato la previsione delle entrate del bilancio dello Stato- diventa un miraggio e risulta già ottimistica la previsione dell’1% formulata la settimana scorsa dal FMI. Si capisce bene, a questo punto, che, in assenza di modifiche alla finanziaria, il deficit di bilancio del 2019 non sarà del 2.4% – già considerato eccessivo dalla UE – ma ben oltre il 3%. Solo una persona senza vergogna come Di Maio, di fronte a questo dato, può continuare a sostenere che la “manovra del popolo” avrà un effetto positivo sul PIL del 2019. Intanto perchè un deficit al 2.4 – per altro utilizzato per aumentare la spesa corrente e non quella per gli investimenti – non è in condizioni di produrre grandi effetti sulla crescita. In secondo luogo perchè l’Italia aveva ritrovato la crescita, a partire dal 2016, come il resto dell’Europa, solo grazie agli effetti degli allentamenti quantitativi operati dalla BCE e alla fase di ripresa sincronizzata conosciuta dall’economia globale. Se non fosse così bisognerebbe darne i meriti a Renzi. Ora siamo alla vigilia della fine degli acquisti di titoli da parte della BCE (prevista per dicembre) ed anche ad un rallentamento della crescita globale, dovuto anche alle incertezze politiche legate alla guerra commerciale avviata dai primi dazi imposti da Trump e dai rischi di crisi del debito pubblico italiano con possibile contagio a tutta la UE. Proprio per queste ragioni, infatti, un rallentamento della crescita italiana nel terzo trimestre era atteso. Se la frenata è andata ben al di là di un rallentamento questo è dovuto anche al blocco di tanti cantieri da parte del nuovo governo e ad una manovra di bilancio che ha cambiato gli umori e le attese degli operatori economici. I dati resi noti ieri sull’occupazione confermano la fase negativa che sta attraversando l’economia italiana. A settembre la disoccupazione è infatti tornata sopra il 10%, i contratti a tempo indeterminato sono scesi di 77 mila unità, quelli a tempo indeterminato sono cresciuti di 27 mila unità. Insomma è la realtà dei fatti a dimostrare che il contratto di governo è insostenibile, cosa che a molti era già evidente prima, che delle promesse seminate a piene mani non sarà possibile mantenerne neppure una piccola percentuale e che l’impostazione di politica economica di questo governo può far solo deragliare il Paese. Anche se non lo ammettono e fanno finta di tirare dritto, in realtà gli esponenti del governo sono già corsi ai ripari, decidendo di tenere di fatto fuori dalla manovra il reddito di cittadinanza e la quota cento, che saranno inseriti in un decreto che sarà predisposto solo dopo l’approvazione della Finanziaria. E’ chiaro che in questo quadro le note contraddizioni tra i programmi della lega e dei 5 stelle – fin qui contenute dalla speranza di poter gestire insieme il potere e cominciare a dare qualche contentino ai propri elettorati – sono destinate ad esplodere. I primi segni di un logoramento dei rapporti sono già visibili nelle tensioni che si manifestano intorno al decreto sicurezza, al che fare sulle grandi opere, al giudizio sulla prova di governo della Raggi a Roma. Tuttavia non credo che ciò porterà ad una crisi di governo ora. Lega e cinque stelle sono condannati a stare insieme almeno fino alle elezioni Europee. Da qui ad allora navigheranno a vista. Subito dopo comincerà un’altra storia.

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