Dopo ogni tornata elettorale, anche in presenza di risultati davvero difficili da giustificare e da gestire, si ripete il mantra “gli elettori hanno sempre ragione”. Ma è davvero così? E’ un convincimento che aiuta ad agire per correggere i limiti evidenti del sistema politico? Francamente ritengo questo ritornello una grande ipocrisia che non favorisce quell’assunzione di responsabilità necessaria per affrontare il vero problema dell’Italia e cioè l’assenza di una offerta politica credibile. Se gli elettori avessero sempre ragione non saremmo al punto cui siamo. Ecco perchè la cosa peggiore che si può fare, di fronte ad una crisi politica così grave, è attendere le prossime elezioni (che, data l’assenza di una maggioranza, potrebbero arrivare molto presto) cullandosi sulla convinzione della ragionevolezza se non della infallibilità degli elettori. Proviamo invece ad analizzare il voto, considerando le proposte che più hanno caratterizzato le tre coalizioni maggiori, e giudichiamo su questa base lo stato dell’arte e il che fare. Devo essere necessariamente schematico per ragioni di spazio ma nulla togliendo alla sostanza dele questioni. Il centrodestra (la coalizione più votata) era unito, oltre che dal carattere demagogico delle promesse, soprattutto da una proposta fortemente classista. Parlo della flax tax e cioè di un’unica aliquota con cui tassare allo stesso modo i redditi dei più ricchi e dei più poveri. Non c’è bisogno di una laurea in economia per capire che una proposta simile -in una società caratterizzata da una concentrazione mai vista della ricchezza nelle mani di un pugno di miliardari – finisce per favorire solo i ricchi e per accentuare quella che si ritiene, a ragione, la causa principale del malessere dei ceti medio bassi e cioè la crescita a dismisura delle diseguaglianze. Eppure il centrodestra non è stato votato solo da quel 10% più ricco che possiede più della metà della ricchezza della nazione, tutt’altro. Dall’altro un movimento come quello dei 5 stelle, che certo non ha dato buona prova di sè nelle prime esperienze di governo locale, ha sfondato soprattutto nel Mezzogiorno grazie alla proposta di distribuire un sostanzioso e generalizzato reddito di cittadinanza. Anche qui basta poco per capire che si tratta di un progetto irrealizzabile, considerato lo stato dei conti pubblici. Certo può diventare un obiettivo giusto (ma non di breve periodo) se perseguito dentro un progetto di riforma dell’attuale Unione Europea. Ma è noto lo scetticismo di questo movimento sulla materia comunitaria. Tuttavia tanto è bastato loro per superare il 30% dei voti. Infine il centrosinistra, che ha certamente presentato le proposte meno insostenibili, se mi lasciate passare il termine, è da tempo in netta contraddizione con la sua stessa natura di forza di cambiamento. Le politiche degli 80 euro non mi pare possano scaldare il cuore di chi è animato da questo valore. Certo ha perso molti voti. Ma non si vede nascere una alternativa credibile che incarni quei valori. In questo quadro l’unica cosa che può far comprendere (ma non giustificare) il comportamento degli elettori è la costatazione di una offerta politica davvero debole, povera se non sconcertante. Se questo è vero, e se la classe politica che ci ritroviamo è in uno stato confusionario, allora l’esigenza che abbiamo come italiani è quella di ricostruire una offerta politica credibile, ciascuno partendo dalle sue convinzioni e dai suoi valori. Ecco perché la società tutta, anziché autoassolversi per un voto oggettivamente astruso, dovrebbe farsene carico. La politica in democrazia non è mai un corpo separato. Insomma la questione riguarda tutti.