L’uscita della Gran Bretagna dal mercato europeo è ancora lontana: se ne parlerà, forse. dopo il 29 marzo del 2019. Tuttavia è già evidente il disastro prodotto dall’esito del referendum in poco più di un anno. Disastro, sia chiaro, per il Regno Unito non certo per l’Europa. L’imbarazzo degli stessi fautori dell’uscita è evidente. A settembre ha fatto ridere mezzo mondo la dichiarazione della May che auspicava di poter continuare ad avere le regole del mercato unico europeo per almeno due anni dopo la fine del negoziato. In pratica fino al marzo del 2021, quando lei difficilmente sarà ancora in sella. Non bisogna meravigliarsi, dunque, se stanotte, pur di avere una Brexit soft, ha ceduto su due punti importanti nella trattativa con il presidente Junker: Londra tirerà fuori dai 40 ai 60 miliardi di euro e garantirà diritti speciali per 4 milioni di cittadini UE che vivono in Gran Bretagna. Basta vedere cosa ha prodotto al Paese il solo annuncio della volontà di uscire. Oggi la Gran Bretagna è il fanalino di coda del G7, il suo PIL è il più basso tra tutti i paesi europei e vanta la peggiore prospettiva di crescita dal 2010 con stime tagliate fino al 2021; la svalutazione della sterlina ha prodotto una crescita dell’inflazione e una caduta del reddito disponibile per i cittadini del 2%. Oggi le uniche cose che crescono sono l’indebitamento dei privati, arrivato alle stelle, i discount, per alleggerire il carrello della spesa divenuto molto più caro, e l’esodo dei lavoratori stranieri che , messi in difficoltà dall’inflazione, stanno cominciando a lasciare il paese: quest’anno si è registrata una carenza di manodopera per la raccolta della frutta. Intanto due Authority europee hanno già deciso di lasciare Londra per altri lidi: l’EMA, l’agenzia del farmaco, con i suoi 900 dipendenti e i trentaseimila visitatori l’anno, l’EBA, l’agenzia che si occupa dei regolamenti bancari, che andrà certamente a Francoforte, mentre per il Centro Europeo di elaborazione per le previsioni meteo a medio termine è già decisa la localizzazione a Bologna. Ma è solo un assaggio di quel che accadrà nei prossimi mesi. Decine e decine di grandi case di affari internazionali del settore finanziario sono alla ricerca di nuove sedi tra Francoforte, Parigi e Milano. La maggiore opacità garantita dall’Europa al mercato dei derivati londinese ha fatto della City la base privilegiata della finanza internazionale per operare nel mercato comune europeo. Ora la festa sta per finire, migliaia e migliaia di dipendenti ben pagati lasceranno uffici e appartamenti, con quali conseguenze per il mercato immobiliare della capitale è facile immaginare. Per non parlare degli effetti sulla crescita visto il peso del settore finanziario sul prodotto interno lordo del paese. Insomma la Brexit è indubbiamente un elemento di riflessione per i nazionalisti e i populisti che si aggirano numerosi per l’Europa, o almeno per quelli di loro che non hanno ancora portato il cervello all’ammasso. Ma se la lezione non dovesse bastare possono sempre guardare oltre Oceano dove c’è Trump a rappresentare un monito per i populisti di ogni dove.
