“Facciamo pace”: il libro di Susanna Camusso

Presentazione del libro di Susanna Camusso al Capua il luogo della lingua Festival. Museo Campano. 23 maggio 2023. Il mio intervento.

“Facciamo pace è un libro impegnativo perché analizza il tema della pace e della guerra nel suo rapporto con le grandi sfide che l’umanità ha oggi di fronte, con le crisi che esse determinano e con il dibattito sulla costruzione di un nuovo ordine internazionale che sia in grado di affrontarle.

Non è dunque semplice sintetizzarne i contenuti. Ci provo, scusandomi per dover essere necessariamente schematico.

Al centro dell’analisi di Susanna Camusso, a differenza di ciò che può far pensare il momento nel quale è intervenuta la pubblicazione del volume, non c’è la guerra in atto tra Russia ed Ucraina. Una guerra che è certo quella a noi più vicina e nella quale siamo direttamente coinvolti ma né la prima né l’ultima delle tante guerre che hanno destato orrore e preoccupazione dopo la Seconda Guerra Mondiale. La riflessione è perciò a tutto campo, ha un respiro molto più profondo e l’obiettivo di individuare cause e conseguenze di tutte le guerre.

Un approccio che, ovviamente, aiuta anche a ragionare su ciò sta accadendo in Ucraina e sulle possibili soluzioni ma soprattutto utilissimo per aiutare italiani ed europei ad avere una visione della guerra e della pace più aderente alla realtà del mondo di oggi, a  non considerare il conflitto armato tra Russia ed Ucraina come il ritorno della guerra sulla faccia della terra dopo una lunga fase di pace.

L’Europa è stata per molti secoli il centro del pianeta  per cui siamo portati a considerare secondario tutto ciò che avviene fuori dai confini nostri e dell’Occidente. In realtà oggi l’Unione Europea è una realtà marginale. Ormai ci avviamo a rappresentare il sette per cento della popolazione mondiale e poco più del 10% del PIL globale. La leadership tecnologica nel mondo da tempo appartiene a Stati Uniti e Cina. La valutazione dei più importanti megatrend lascia prevedere che entro il 2050 l’intero Occidente, che già dal 2013 ha visto il suo pil scendere molto al di sotto il 50% del piL globale, arriverà a rappresentare entro il 2050 molto meno del 40%. Su 9 miliardi di abitanti più di 5 miliardi vivranno nella sola Asia, il cui livello di innovazione tecnologica e i cui trend di crescita dell’economia stano già spingendo le grandi case di investimento a spostare i quell’area quote crescenti dei propri portafogli. Insomma il nostro peso nel Mondo sarà sempre più proporzionato a quel che appare l’Unione Europea sul mappamondo: una piccola propaggine del grande continente Asiatico.

Ecco allora che allargare il tempo e lo spazio di osservazione, come Susanna Camusso fa in questo libro, ci consente di cogliere un dato fondamentale: dopo la Seconda Guerra Mondiale le guerre non si sono mai fermate ma sono state – come scrive Marcon nella sua prefazione – una costante del dopoguerra e ancor più dopo la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, quando abbiamo rivisto militari italiani e di altri Paesi europei tornare e a volte morire sui vari fronti: dall’Afghanistan, al medio Oriente, ai Balcani, all’Iraq, alla Libia, alla Siria e mi fermo qui perché l’elenco è troppo lungo. Sono infatti 150 i conflitti armati in corso nel Mondo. Insomma la tesi che il libo propone è che la  guerra sia rimasta lo strumento ordinario della politica internazionale.

Ecco allora la necessità di ragionare sulle cause che ne sono all’origine di tutte le guerre. Cause che hanno sempre a che fare con fattori economici, con il controllo delle materie prime, con discriminazioni nei confronti di minoranze, insomma con le grandi contraddizioni del nostro tempo.

Susanna Camusso sceglie di conseguenza di analizzare cinque grandi sfide che sono davanti all’umanità, anteponendo non a caso la parola guerra a ciascuna di esse. Vado per estrema sintesi:

1 – la “guerra dell’energia”: guerra e controllo delle fonti energetiche sono sempre andate di pari passo ed oggi la questione energetica si complica alla luce del passaggio sempre più necessario dalle fonti fossili alle fonti rinnovabili;

2 –  la “guerra dell’acqua”; un bene che è stato sempre al centro dei conflitti e che è destinato a divenire sempre più prezioso a causa degli effetti dei cambiamenti climatici;

3 – la “guerra del cibo”: perché nel mondo c’è ancora tanta fame e diventa sempre più complicato riuscire a combatterla, a causa dell’aumento della popolazione mondiale (siamo 8 miliardi), di un sistema agroalimentare sempre più dipendente da risorse a rischio a causa dei cambiamenti climatici, di un modello di sviluppo che vede sempre di più concentrare nelle mani delle grandi multinazionali il controllo delle sementi e dei costi di produzione;

4 – la “guerra delle diseguaglianze”: perché sono tornate a livelli inauditi e spesso all’origine delle guerre vi sono proprio una iniqua distribuzione delle risorse e discriminazioni nei confronti di minoranze escluse, sfruttate ed emarginate che non godono di pari diritti;

5 – la “guerra di genere”: la guerra degli uomini contro le donne che riguarda la famiglia, i luoghi di lavoro, il fenomeno dei migranti, ma anche le stesse guerre, basta pensare allo stupro come strategia di guerra. Un fenomeno, quello della violenza sulle donne in quanto donne, che non riguarda, dunque, solo la responsabilità dei singoli ma un comportamento collettivo che nasce dalla visione patriarcale della società, da un ordine mondiale fondato sulla legge del più forte.

Rispetto a queste sfide la tesi sostenuta nel libro è che la guerra non solo è distruttiva, non rispetta le regole del diritto internazionale,  uccide più civili che militari (perché la scelta stragista è parte della strategia militare che mira a rompere il fronte interno – il bombardamento di Capua del ’43 lo dimostra), ma non serve neppure a risolvere le ragioni che le determinano, anzi generalmente le aggrava.  Le guerre aggravano la crisi energetica perché provocano un aumento dei costi di produzione, spinge a distogliere l’attenzione dagli sforzi necessari per la transizione energetica. Abbiamo visto il ritorno al carbone perfino in Europa che in questo campo era più avanti degli altri.  Inoltre aggrava il fenomeno della scarsità dell’acqua, perché ritarda le misure necessarie per fermare i cambiamenti climatici che sono i primi responsabili della crescita dei fenomeni estremi che causano siccità ed inondazioni; accresce la fame nel mondo per l’effetto disastroso sui prezzi dei generi alimentari; accresce le diseguaglianze, tende a spostare risorse verso gli arsenali sottraendole ai granai, rende, perciò, il povero più povero e il ricco più ricco, provoca la distruzione di ricchezze materiali ma anche di quelle immateriali perché interrompe i processi di istruzione e questo rende più povero l’avvenire di ragazze e ragazzi,  più poveri i paesi coinvolti per il rapporto indiscutibile tra istruzione, conoscenza e crescita economica, rende più a rischio la democrazia perché meno istruzione significa meno autonomia di giudizio.

Per non parlare dei suoi effetti sulla condizione femminile in un contesto globale che vede le donne, dopo i passi avanti del secolo scorso, subire un attacco al loro fondamentale diritto all’autodeterminazione in tutto il mondo a partire dagli stessi paesi occidentali.

Dunque la guerra non serve la pace è molto meglio ma la costruzione della pace non è semplice, richiede una diversa idea del mondo, una visione alternativa al dominio della logica del profitto, un modello di sviluppo alternativo che metta al centro le persone, la cura, l’universalizzazione dei diritti e che sia perciò in grado di affrontare e vincere le sfide su cui questo libro riflette e si interroga, e di affermare una idea di sicurezza che sia fondata sulla cooperazione, sulla reciproca fiducia, su organismi internazionali autonomi che siano davvero in grado di esercitare una funzione di garanzia, sulla pacifica convivenza.

Come costruire questa visione, questa diversa idea del mondo? Che fare? Il libro offre diversi spunti su come arrivare ad una diversa idea di pace ma accenna solo e lascia aperti, ritengo volutamente, nodi che è essenziale sciogliere per dare credibilità e quindi possibilità concrete di successo ad una visone alternativa.

Il primo spunto di riflessione viene dalla costatazione che se la regola è che la guerra non risolve le ragioni che stanno dietro i conflitti, anzi li acuisce, complica ancora di più le cose (lo abbiamo visto da ultimo in Afghanistan), dall’altro nella storia moderna, c’è stata una eccezione a questa regola: quella dell’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Europa dell’Unione che ha garantito 78 anni di pace.

Come è stato possibile? Ha pesato solo la deterrenza nucleare? O invece il fatto che a Bretthon Woods gli alleati trovarono, attingendo al Keynesismo, sia pure non fino  in fondo, una risposta alla crisi economica che aveva prodotto la guerra?

 Ricordiamoci che in quella sede fu concordata una severa regolamentazione  del sistema finanziario e del controllo dei capitali, un nuovo sistema di cambio fondato sulla convertibilità tra dollaro ed oro, la nascita del Fondo Monetario internazionale, un nuovo ordine internazionale capace di controllare gli effetti delle bolle speculative e consentire un nuovo ruolo dello Stato che prendeva su di sé il peso della gestione dei rischi sociali e il controllo del ciclo economico mediante l’intervento diretto nell’economia a sostegno della domanda e dell’occupazione. Insomma dalla guerra allora si uscì con un compromesso tra capitalismo e democrazia, con una visione nuova, una idea di costruzione della pace almeno all’interno del blocco Occidentale, una nuova modello di sviluppo più adatto a preservare la pace. Insomma uno stato sociale che ha garantito quella che è stata definita l’età dell’oro, nella quale il movimento operaio occidentale ha conosciuto il periodo più lungo di piena occupazione, di incremento dei redditi, di crescita del suo potere nei luoghi di lavoro e nella società.

I problemi arrivarono quando venne meno la convertibilità del dollaro per le ragioni che ben sappiamo, legate molto al peso che la guerra del Vietnam rappresentò per gli Stati Uniti, anziché riformare quel sistema si cominciò a demolirlo, si arrivò alla privatizzazione di fatto della stampa della moneta e alla finanziarizzazione dell’economia, si avviò il cammino verso il neoliberismo, fino all’errore di pensare che la caduta del muro di Berlino potesse segnare la definitiva vittoria del capitalismo e aprire una nuova era contraddistinta dalla universalizzazione della democrazia liberale come forma definitiva di governo in tutto il mondo  e dal primato del mercato come ispiratore risolutivo delle relazioni internazionali e il conseguente declassamento dei conflitti religiosi, etnici e nazionalisti a fattori residuali.

 Come abbiamo visto con l’attentato alle torri gemelle prima, la grande recessione del 2008/2009 poi, che ha scatenato una prima ondata di populismi e nazionalismi, è accaduto esattamente il contrario. Certo l’ondata populista e la pandemia hanno prodotto importanti innovazioni sia nella politica monetaria delle banche centrali, sia nel ritorno delle politiche fiscali degli Stati – il Recovery Plan in Europa le imponenti manovre economiche di Biden negli USA. Ma è rimasto l’approccio unilateralista degli Stati Uniti nella politica internazionale e poi con la guerra si sono riaffacciati inflazione, pericoli di recessione, populismi e soprattutto nazionalismi.

Torna la domanda centrale: su quali forze far leva per costruire una nuova idea della pace? Nel libro c’è un forte riferimento all’importanza delle istanze femministe che sono portatrici di valori più vicini alla cooperazione, alla universalizzazione dei diritti, alla centralità della cura. Io condivido ma è chiaro che non basta. Serve un nuovo pensiero condiviso in grado di delineare un nuovo ordine, un nuovo modello di sviluppo che sia più favorevole alla pace. Per me questo pensiero è possibile costruirlo ad una sola condizione: solo da uno sforzo collettivo, dalla ricostruzione di partiti, di movimenti di portata almeno transeuropea, che possano elaborarlo, mettendo assieme bisogni sociali e conoscenze, e che soprattutto abbiano la forza di sostenere una iniziativa adeguata, capace di incidere, di cambiare le cose. Serve ridimensionare l’io che ha accompagnato il ciclo neoliberista e ritornare al noi.

La crisi della politica acutissima che viviamo e la frammentazione sociale sempre più accentuata dopo il ridimensionamento della classe operaia dell’era industriale rende estremamente arduo questo compito. Come ricostruire un fronte sociale che possa battersi per questa nuova idea di pace?. Il libro di Susanna Camusso fornisce un contributo e pone con chiarezza il tema. E’ urgente però che da qualche parte ci si cominci a lavorare concretamente e su questo il buio è ancora troppo fitto .  

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