PD: il congresso parte male

Dopo la pesante sconfitta del 2018 i due nuovi segretari che si sono avvicendati alla guida del PD hanno usato parole forti per affermare l’urgenza di cambiare l’assetto ed il modo d’essere del partito. Zingaretti parlò di “cambiare tutto” di “rivoluzionare” il PD. Letta fin dal primo discorso da segretario sottolineò senza mezzi termini che il partito così com’è non può andare da nessuna parte. Sappiamo come è finita. Nessuno dei due ha cambiato qualcosa e il partito è rimasto un assemblaggio di correnti personali. Oggi i due autocandidati alla segreteria affermano di voler smantellare le correnti. Bonaccini parla di un PD che va smontato e rimontato ma intanto il primo sostegno lo riceve proprio da una corrente, quella di “base riformista”. Schlein prova a costruirsi una immagine più “movimentista” ma tutti sanno che a spingerla sono state alcune correnti: da quella di Franceschini ad un pezzo di quella di sinistra (Provenzano). Trovo davvero preoccupante che si parta dai nomi dopo una sconfitta che è stata peggiore di quella del 2018 perché non sfugge a nessuno che una parte significativa dei voti raccolti, più che essere frutto di un consenso nei confronti della linea politica del partito, erano voti di chi non riteneva vi fosse altro modo per evitare, o almeno contenere, la vittoria annunciata della peggiore destra nazionalista. C’è un silenzio assordante di gran parte del gruppo dirigente sulle ragioni di una sconfitta così pesante e di un esito elettorale da vera e propria svolta politica perché, dopo che nel 2018 il voto aveva espresso un consenso maggioritario per due diverse forme di populismo, oggi gli elettori scelgono consapevolmente un centrodestra saldamente egemonizzato dalla destra postfascista in un Paese che ha alle spalle il ventennio mussoliniano, la tragedia della seconda guerra mondiale e la scelta di una Costituzione antifascista. Se qualcuno pensa che questo sia un semplice incidente di percorso, destinato a durare lo spazio di un mattino, credo commetta un grave errore di valutazione. È vero che il centrosinistra ha fatto di tutto per perdere. Ma in ogni caso il corpo elettorale ha scelto un partito erede del MSI che porta ancora la fiamma nel simbolo. A me sembra si tratti di un problema politico enorme perché rompe per la prima volta in modo chiaro e inequivocabile il patto antifascista che ha accompagnato la politica italiana dal dopoguerra ad oggi. A poco conta il fatto che l’attuale partito egemone del centrodestra sia da tempo parte di quella coalizione. Avere in una coalizione di centrodestra Fdl al 4.4%  è una cosa diversa che averlo intorno al 30 per cento. Dunque non scherziamo. Se è vero che la storia non si ripete mai allo stesso modo, a nessuno può sfuggire che siamo in presenza di una crisi sistemica che ci accompagna dalla grande recessione del 2008 e che a fronte di un vecchio ordine che sta crollando il nuovo non riesce a prendere forma. Non credo debba ricordare la famosa considerazione di Gramsci nei “quaderni dal carcere” per sottolineare a quali pericoli siamo esposti. Se il fascismo non può presentarsi nelle forme che conosciamo sappiamo bene che l’incertezza del futuro determina spaesamento e paura, condizioni ideali nelle quali le forze della reazione possono inserirsi per cercare di far girare all’indietro la ruota della storia. Il rischio nazionalista, del quale a nessuno di noi può sfuggire la pericolosità, si sta manifestando da tempo in tutto il mondo, mettendo a rischio la democrazia perfino negli USA dove anche le ultime elezioni di metà mandato hanno dimostrato quanto sia ancora spaccata la società americana, nonostante il risultato di Trump sia stato al di sotto delle aspettative. In questo quadro un congresso che voglia affrontare le ragioni profonde della sconfitta e delle difficoltà generali della sinistra e delle forze democratiche e progressiste dovrebbe partire da una analisi profonda della fase. Una analisi fondata su una solida e adeguata base culturale capace di superare la vecchia contrapposizione tra sinistra radicale e sinistra  riformista che davvero oggi non ha più senso. Nessuna delle anime tradizionali della sinistra può chiamarsi fuori da una condizione di estrema irrilevanza. La verità è che tutta la sinistra e tutte le forze di progresso scontano ritardi enormi nella comprensione della rivoluzione tecnologica permanente, che cambia di continuo il nostro modo di lavorare e di vivere, e nella comprensione della globalizzazione. Invece di partire dai nomi servirebbe, dunque, un documento politico capace di aprire una discussione di questo respiro. Ma di ciò non si vede alcuna traccia. Bisogna  chiedersi il perché. Abbiamo un gruppo dirigente che non è all’altezza di questa sfida? Oppure ormai prevale la tattica, la prudenza, la scelta di attendere gli eventi per posizionarsi nel modo più congeniale agli interessi personali? Certo questo gruppo dirigente non si è distinto per generosità nel corso della campagna elettorale. E soprattutto non ha mostrato di essere interessato alla ricerca del consenso, alla partecipazione della base, che mai come questa volta è stata tenuta fuori da qualsiasi discussione sulla scelta dei candidati. E qui emerge l’altro nodo che dovrebbe essere al centro del dibattito congressuale. Il nodo della struttura di partito, delle regole di vita interna. Siamo l’unico partito al mondo che affida la selezione dei gruppi dirigenti a primarie senza regole chiare, aperte a chiunque sia disponibile a versare pochi euro. Primarie che tolgono ogni potere agli iscritti, ai militanti e premiano chi è più disponibile a utilizzare le peggiori pratiche elettoralistiche, clientelari e trasformiste. Se il nostro partito non è riuscito nell’intento di unificare le diverse tradizioni riformiste della storia italiana intorno ad un nuovo pensiero politico adeguato al nostro tempo, se non ci sono più luoghi veri di confronto e di elaborazione politica collettiva (perché ormai siamo a questo punto), se ormai la vita interna passa solo attraverso i comitati elettorali e il PD più che ad un partito somiglia ad un assemblaggio di correnti personali, lo dobbiamo a questa scelta folle che stranamente poi viene archiviata quando si tratta di selezionare le candidature ai vari livelli istituzionali. Se si vogliono affrontare i nodi veri della nostra sconfitta, se si ritiene che davvero questo partito debba essere rivoltato come un calzino bisogna dire con chiarezza come si intendono cambiare le regole di selezione dei gruppi dirigenti a tutti i livelli e quale struttura di partito vogliamo. I proclami non servono. Non sono più credibili. Serve un congresso che sappia riarticolare la struttura interna su basi politiche e non personali. Per fare questo occorre partire dalla politica, da un confronto su analisi e progetti chiari, unica base in grado di legittimare l’esistenza di diverse componenti all’interno del partito. C è bisogno di una discussione che coinvolga tutti gli iscritti e li renda protagonisti delle decisioni. Mi pare che invece si sia partiti molto male. Forse si sottovaluta la gravità della situazione politica. Eppure i sondaggi segnalano per noi una caduta davvero preoccupante. C è bisogno di una discussione che parta dal basso ma a Caserta non c’è nessuna sede dove aprirla. È ora che il commissario della federazione batta un colpo. Siamo ancora in tempo per evitare una caduta rovinosa.

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