La luna di miele tra il governo Draghi, i mercati e le cancellerie internazionali è finita. A provocare il cambio di fase non è solo l’avvicinarsi del voto dei grandi elettori per il prossimo presidente della Repubblica: un appuntamento di straordinaria e vitale importanza in tempo di crisi della politica ed anche troppo vicino alla scadenza della legislatura. Purtroppo i fatti stanno dimostrando come la larga base parlamentare su cui si regge il governo Draghi non è più in condizione di esprimere un compromesso utile all’obiettivo di portare il Paese fuori dall’emergenza sanitaria, sociale ed economica. In autunno l’Italia era da tutti invidiata per la buona tenuta sul fronte della pandemia, in presenza di un quadro europeo e internazionale che tornava a peggiorare. Un risultato legato all’innegabile successo conseguito sul fronte della campagna di vaccinazione. Poi è arrivata la variante Omicron con la sua impressionante capacità di dilagare tra i no vax ma anche di bucare le prime due vaccinazioni. A quel punto, per non perdere il vantaggio nei confronti del resto del mondo, bisognava assumere misure forti e tempestive: non solo la terza dose ma l’obbligo vaccinale e un lockdown per i non vaccinati come ha fatto la Germania. Ma il governo, frenato dall’opposizione della lega, non ha potuto ascoltare fino in fondo il grido di allarme della scienza e non è riuscito a produrre un compromesso che non fosse al ribasso. Questa volta a Draghi è venuto meno anche il supporto di Giorgetti, espressione degli interessi economici di una certa imprenditoria del Nord Est. Non si è trattato solo di una ritrovata unità della lega imposta dal passaggio di testimone al Quirinale. Quegli interessi economici che hanno costretto un recalcitrante Salvini ad ingoiare il boccone amaro di un presidente del Consiglio e di un governo europeisti (quando è stato evidente a tutti che solo rimanendo ancorata all’Europa del Recovery Plan l’economia italiana poteva salvarsi dal disastro), nel caso del contrasto alla pandemia hanno funzionato al contrario. Le preoccupazioni per la tenuta dei profitti, infatti, rendono il richiamo populista – indotto dalla paura, dall’egoismo o dall’ignoranza – più difficile da vincere. Non a caso contro l’obbligo vaccinale è sceso in campo anche Grillo che lo ha definito addirittura “orwelliano”. E così sono arrivate le mezze misure dell’ultimo Consiglio dei Ministri, del tutto tardive e insufficienti per fermare, a questo punto, il dilagare della variante Omicron e il rischio di vedere travolto il sistema ospedaliero, già in affanno da giorni sul terreno della garanzia delle prestazioni ordinarie sugli altri fronti della tutela della salute pubblica. Anche sul piano dell’economia si era già sentito qualche scricchiolio nel governo nella fase dell’approvazione della legge finanziaria. Certo la disponibilità delle risorse aggiuntive garantite dall’Europa hanno reso meno problematica la tenuta di una linea di politica economica espansiva. Ma questo non ha impedito di bloccare la proposta avanzata da Draghi di un contributo di solidarietà a carico dei redditi più alti per trovare risorse da destinare agli aiuti alle famiglie più svantaggiate, duramente colpite dagli aumenti delle bollette di energia elettrica e gas. Non si è trattato di un contrasto marginale perché la lotta alle diseguaglianze non è meno importante degli altri fronti su cui si combatte per uscire dall’emergenza. Insomma Draghi da solo non basta più perché la complessità dei problemi da affrontare ha fatto esplodere le contraddizioni interne ad una maggioranza troppo eterogenea. Salvini è spaventato dalla erosione di consensi che si è registrata a favore di Fratelli d’Italia, a causa di un sostegno al governo Draghi che stride con tutto ciò che la lega ha rappresentato fin qui. Sull’altro fronte si sono riaperte le contraddizioni interne ai 5 stelle in evidente caduta di consensi. Il passaggio difficile dell’elezione del Presidente della Repubblica e l’avvicinarsi alla scadenza della legislatura ovviamente non possono che complicare ulteriormente il quadro. Di certo questo equilibrio non regge più. Serve un cambio di maggioranza fuori dagli schemi delle vecchie coalizioni che da tempo esistono solo sulla carta ma non sul piano politico. Vedremo nelle prossime settimane se questa realtà ineludibile porterà ad un nuova maggioranza politica – fondata su una alleanza coerentemente europeista in grado di eleggere il presidente della Repubblica e un nuovo governo – o ad elezioni anticipate nelle quali non si potrà prescindere dall’alternativa tra europeismo e democrazia da un lato e nazionalismo populista e autoritario dall’altro. Perché, come tutta la situazione internazionale dimostra, la partita ancora aperta è sempre quella della riconfigurazione della globalizzazione e della scelta di un nuovo equilibrio tra Stato e mercato, tra democrazia rappresentativa e autoritarismo.
