Nella conferenza stampa di ieri Mario Draghi è stato molto chiaro – “che più chiaro di così non si può” – sulla questione dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica, anche se i giornali stamane abbondano di interpretazioni malevoli ispirate da chi, pur di perseguire interessi di parte, non si preoccupa minimamente dei destini del Paese. Sono due i passaggi chiave del suo discorso: “Il mio destino personale non conta assolutamente niente. Non ho particolari aspirazioni di un tipo o di un altro… Sono un uomo e un nonno al servizio delle istituzioni»; e poi la sottolineatura di ciò che è davvero essenziale e cioè “una maggioranza come quella che ha sostenuto il governo, la più ampia possibile». Dunque se l’Italia in pochi mesi è riuscita ad affermarsi come “il Paese dell’anno 2021” (perché ha affrontato meglio di tutti l’emergenza Covid, sta crescendo, come non accadeva da tempo, ad un tasso superiore a quello medio dell’Unione Europea e ha fin qui rispettato gli impegni per ottenere le prime due tranche dei fondi del Recovery Plan) non è solo grazie all’indirizzo politico chiaro e forte adottato dal tandem Mattarella Draghi ma soprattutto perché si è formata una maggioranza di governo fondata sulla collaborazione tra forze diverse che si sono fatte carico della grave emergenza del Paese e hanno garantito al governo una larga base parlamentare. Draghi in sostanza ha chiarito che non conta il ruolo che i partiti vorranno affidargli ma la tenuta della maggioranza di governo. Non servirebbe un Draghi presidente della Repubblica se il prezzo da pagare fosse la fine dell’unica maggioranza in grado di garantire ciò che è necessario fare fino alla fine della legislatura. Così come non avrebbe senso Mario Draghi presidente del Consiglio a fronte di una maggioranza che si sgretola sul nome del nuovo presidente della Repubblica. Non è che Draghi nella conferenza stampa abbia fatto chissà quale scoperta. Molto modestamente è quello che sto scrivendo da giorni e che può ben comprendere chiunque segua la vicenda politica con un minimo di ragionevolezza. È vero, come ha ricordato Arturo Scotto, che la costituzione non prescrive una necessaria corrispondenza tra coalizione che sostiene il governo e la maggioranza che elegge il presidente della Repubblica ma anzi punta a determinare le convergenze più ampie possibili per ovvie ragioni legate al ruolo dell’inquilino del Colle. La storia della Repubblica ci insegna che molti presidenti sono stati eletti con il voto determinante dell’opposizione comunista. Tuttavia a determinare una condizione di destini incrociati tra nuovo presidente della Repubblica, futuro del governo, della legislatura e dell’Italia stessa, è la situazione politica eccezionale che ha determinato un quadro politico anomalo, figlio di una crisi inedita e molto pericolosa che è al tempo stesso sanitaria economica e politica. Purtroppo i “guastatori” sono molti e tutti molto determinati, nonostante siano animati da ragioni e obiettivi diversi. I principali dirigenti del “genio guastatori” sono tre. Innanzitutto Giorgia Meloni, che dal punto di vista della destra nazionalista vede in questo incrocio di destini l’occasione per provare a far saltare un governo nato non solo per tenere l’Italia saldamente ancorata all’Europa ma anche perché, nel nuovo equilibrio politico dell’UE – segnato dall’uscita di scena di una figura chiave quale è stata la cancelliera Merkel – può rappresentare un punto di forza del processo di accelerazione dell’integrazione politica del continente, già rilanciato dall’approvazione del Recovery Plan e dalle modalità nuove del suo finanziamento. È un dato di fatto che rende impossibile coinvolgere l’opposizione nella scelta del successore di Mattarella. Poi c’è Berlusconi che coltiva l’ambizione di chiudere la sua carriera con una carica prestigiosa, che gli darebbe anche la soddisfazione di dare scacco matto alla magistratura. Il personaggio ci crede davvero, come dimostrano i suoi comportamenti e la minaccia esplicita di far saltare definitivamente l’alleanza di centrodestra, già indebolita dalla spaccatura sul governo, in caso di comportamenti da lui ritenuti sleali. Infine Renzi che, costretto in un angolo e inchiodato a percentuali di consenso che dire deludenti è poco, pensa che la costruzione di una forza centrale, in grado di diventare il nuovo “Ghino di Tacco” del sistema politico italiano, possa passare attraverso una candidatura da proporre alla presidenza della Repubblica individuata dalle forze del cosiddetto “centro” e con caratteristiche tali da provocare il fallimento del tentativo di costruire un asse tra PD e 5 stelle. Si tratta di obiettivi che, oltre ad essere contrari all’interesse del Paese, sono anche difficili da realizzare perché -oltre che essere ostacolati dai gruppi parlamentari dei cinque stelle e del PD – creano problemi anche alla lega, oggi non in condizione di prestarsi al gioco dei “guastatori”. In primo luogo perché non lo consentirebbe quella parte che rappresenta gli interessi della borghesia del Nord, che ha ormai compreso che l’Italia senza l’Europa non potrebbe reggere l’emergenza che stiamo vivendo. In secondo luogo perché lo stesso Salvini, che pure non sta a suo agio in questo governo, ha paura delle elezioni anticipate, visto il crollo di consensi – segnalato da tutti i sondaggi elettorali – rispetto al dato eccezionale ottenuto nelle scorse elezioni europee. Purtroppo non è meno complicato trovare una intesa tra le maggiori forze della larga base parlamentare che sostiene il governo. La scadenza della legislatura è troppo vicina perché una maggioranza di un governo – che non è solo “tecnico” ma anche molto “politico” – possa non coincidere con una coalizione in grado di proporsi e passare attraverso le elezioni della prossima primavera. Le ragioni che hanno fatto nascere il governo Draghi non verranno meno tra un anno e neppure tra due. La crisi politica è profonda e serve tempo per ricostruire coalizioni credibili. Oggi la vera discriminante è tra europeismo e nazionalismo. Bisogna prenderne atto e trarne tutte le conseguenze politiche. È l’unica vera possibilità per evitare che salti il fragile equilibrio al quale in questa fase è ancorata l’Italia.
