C’è un tentativo evidente di intorbidire le acque e di annacquare la portata della decisione del riesame di confermare la sentenza sul sequestro dei 49 milioni di euro alla lega. Troppi sono interessati a tenere fuori gli attuali dirigenti del carroccio dalle responsabilità per quanto accaduto. Tra questi non solo i diretti interessati ma anche i cinque stelle, preoccupati dei riflessi della vicenda sulla tenuta del governo. Non a caso Di Maio si è affrettato a dichiarare che l’alleanza di governo non è in discussione perché i fatti riguarderebbero solo la gestione di Bossi. E’ bene allora ricostruire questa vicenda stando rigorosamente ai fatti che chiamano in causa non solo la gestione di Bossi, già condannato in primo grado, ma anche quelle di Maroni e dello stesso Salvini. L’inchiesta nasce nel lontano giugno del 2012 grazie ad un esposto di un militante della lega su operazioni finanziarie effettuate dal suo partito sia in Italia che in Tanzania con soldi pubblici. Si arriva così, dopo diversi mesi, al sequestro della cartellina intestata “The family” nella cassaforte del tesoriere Belsito, dalla quale emerge che diverse spese della famiglia Bossi, moglie e figli compresi, sono state effettuate con i fondi della lega: dalle spese per la ristrutturazione della casa di Gemonio, a quelle per la rinoplastica del figlio Sirio, alle multe e alle spese del “Trota” per l’Università di Tirana ed altro ancora. Bossi e il figlio sono costretti a dimettersi. L’inchiesta va avanti ed emergono anche strani investimenti in diamanti e all’estero, a Cipro e in Tanzania, gestiti dal tesoriere. Si arriva così a due sentenze di primo grado del 2017. La prima del tribunale di Milano condanna il tesoriere Belsito a oltre due anni, Umberto Bossi e il figlio a poco meno. Poi arriva una seconda sentenza, del tribunale di Genova che condanna Belsito ad oltre 4 anni, Bossi ad oltre due (insieme ai tre revisori contabili del partito) perché riconosciuti colpevoli di una truffa di 56 milioni ai danni dello Stato. In sostanza i due avevano presentato, tra il 2008 e il 2010, rendiconti irregolari al Parlamento per ottenere indebitamente fondi pubblici. Di qui la richiesta di sequestro di 48 milioni di cui tuttavia di cui nel frattempo si sono perse le tracce. Su questi soldi questi che sembrano scomparsi nel nulla l’Espresso ha pubblicato numerose inchieste che richiamano la responsabilità di Maroni e di Salvini sulla gestione quantomeno opaca delle casse del partito negli anni successivi alle dimissioni di Bossi. Questi in sintesi i fatti principali citati dal settimanale e mai smentiti. Dopo le dimissioni di Bossi vengono avviate una serie di operazioni finanziarie: apertura di nuovi conti correnti presso la filiale di Vicenza di Unicredit – dove si trasferisce liquidità per oltre 24 milioni di Euro – e presso la Cassa di Risparmio di Bolzano. Da questi conti cominciano prelevi in contanti, trasferimenti con bonifici a sezioni o a società di capitali controllate dalla lega, investimenti in titoli obbligazionari e derivati, non proprio corretti da parte di un partito politico che riceve finanziamenti pubblici (tenuto a investire esclusivamente in titoli di Stato). Nel 2015 con la gestione Salvini si crea una associazione senza scopo di lucro per ricevere finanziamenti da aziende e girarli a società controllate dalla lega, attraverso cui arriva anche il finanziamento di 250 mila euro di una immobiliare vicina al costruttore Parnasi (quello dell’inchiesta sullo stadio di Roma). Fatto sta che, quando arriva la decisione del sequestro dei 48 milioni sui conti della lega ci sono pochi soldi. Bossi sostiene di aver lasciato tutto il finanziamento nei bilanci del partito, facendo intendere che devono risponderne le gestioni di Maroni e di Salvini (lo ha ripetuto in questi giorni). I nuovi dirigenti non dicono come e dove sono stati spesi. E’ il caso di aggiungere che la procura di Genova da alcuni mesi ha aperto un filone di indagine, a carico di ignoti, sull’ipotesi di riciclaggio, anche sulla base di una segnalazione inviata dalle autorità lussemburghesi alla Banca d’Italia, relativa ad un movimento bancario sospetto: 3 milioni di euro versati da una fiduciaria lussemburghese, dopo le elezioni del 4 marzo, su un conto corrente italiano che gli investigatori ritengono collegato alla Lega. Diversi giornali hanno parlato di una perquisizione della guardia di finanza proprio presso la Cassa di Risparmio di Bolzano. Insomma sulla vicenda il ministro Salvini, anziché minacciare i magistrati, dovrebbe fornire diverse spiegazioni: 1) perché dopo le dimissioni di Bossi sia la gestione Maroni che quella di Salvini hanno continuato a utilizzare soldi della truffa allo Stato di cui si sapeva poteva essere richiesta la restituzione? 2) perchè la lega non si è costituita parte civile contro Bossi per chiedere la restituzione del maltolto ma anzi lo ha candidato ed eletto deputato? 3) perchè ha costituito una associazione per raccogliere fondi per la lega invece di utilizzare il canale diretto del partito? Perchè non sono in grado di dire dove sono finiti gran parte dei 48 milioni e come hanno speso in poco tempo i milioni, citati dall’inchiesta dell’Espresso, investiti in titoli o trasferiti su diversi conti correnti intestati alla lega? Dice il falso Bossi o sono loro a mentire quando dicono di non sapere? Sono alcune delle domande rivolte più volte dall’Espresso agli interessati e sono rimaste tutte senza risposte. Vedremo dove arriveranno le indagini in corso ma intanto anche gli alleati di governo – sempre pronti dall’opposizione a gridare onestà onestà, anche solo in presenza di un sospetto – dovrebbero porsi qualche domanda, chiedere qualche spiegazione e impedire ad un ministro di un dicastero delicatissimo del loro governo di minacciare la magistratura accusandola di aprire processi politici a carico suo e del suo partito.