Il crollo del ponte Morandi di Genova e la piena improvvisa del Raganello in Calabria, con il loro pesante carico di vite umane perdute, rappresentano le ennesime tragiche conferme della inadeguatezza dell’attuale assetto istituzionale di fronte alle enormi sfide del nostro tempo. Guai a pensare che ciò che sta accadendo è solo la conseguenza di colpevoli ritardi nelle manutenzioni, che vanno accertati e puniti, o di imprudenze e omissioni cui bisogna comunque saper trovare risposte. Le cause di fondo di ciò che accade sono molto più profonde e più difficili da affrontare. Purtroppo i tanti segnali che ci arrivano dal futuro sempre più difficile che ci aspetta non sono oggetto di riflessioni responsabili, che sappiano orientare l’azione di chi ha la responsabilità di pensare e praticare soluzioni solide e durature. Diventano invece occasioni di sciacallaggio politico per dare in pasto ad una opinione pubblica, giustamente indignata, capri espiatori e al massimo rimedi provvisori, rabberciati e mai risolutivi. E’ quel che sta accadendo nuovamente in forme ancora più spudorate e irresponsabili di prima. Il ponte crollato a Genova è l’emblema di un sistema infrastrutturale del Paese in larga parte obsoleto, costruito con tecnologie ormai superate e del tutto inadeguate a garantire l’efficienza dei servizi e soprattutto la nostra sicurezza. Chiunque ha conoscenza del vero stato dell’arte sa che non basta una buona manutenzione ma occorrono investimenti ingenti che né lo stato centrale, né il sistema delle autonomie locali possono permettersi. E’ una realtà molto evidente per il nostro Paese, a causa della morfologia del suo territorio e del peso che un debito pubblico enorme, cresciuto in modo esponenziale negli anni 80, esercita sul bilancio pubblico. Ma non è un problema solo italiano. Nell’estate scorsa io e mia moglie abbiamo constatato amaramente, tornando in treno da Francoforte, l’inefficienza delle ferrovie della ricca Germania, pagando con ore e ore di ritardo e disagi incredibili, un guasto importante sulla rete ferroviaria, che ha poi comportato per mesi e mesi una riduzione spaventosa del traffico merci tra l’Italia, la Svizzera e la Germania. Bisogna chiedersi perché siamo giunti a questo punto. Gli stati nazionali non riescono più a far fronte ai loro compiti perché la globalizzazione dei capitali e dell’economia consente alle grandi multinazionali di eludere centinaia e centinaia di miliardi l’anno di tasse e lo strapotere della finanza globale impedisce il controllo della produzione della moneta e dei mercati finanziari. La verità è che per trovare i soldi necessari per ammodernare e sviluppare le grandi reti infrastrutturali italiana e degli altri paesi europei c’è oggi una sola via: accelerare il processo di integrazione politica dell’Europa e varare un grande piano di investimenti pubblici finanziati con l’emissione di eurobond. Ma sappiamo quanto siamo ancora lontani da ciò e come sia cresciuto il rischio di andare in tutt’altra direzione. La stessa tragedia prodotta dalla improvvisa piena del Raganello non può essere ascritta solo all’imprudenza di guide e turisti che non hanno posto l’attenzione necessaria ai bollettini della protezione civile, o alla incapacità delle autorità locali nel far conoscere per tempo e far rispettare le ordinanze che vengono emanate. Certo anche questo conta. Ma il ripetersi di eventi atmosferici estremi ci dice come ormai stia cambiando il clima nel nostro Paese, sempre più simile a quello dei paesi tropicali, per effetto del fenomeno del riscaldamento globale figlio della testardaggine con cui il sistema economico, finanziario e politico globale si ostina a non correggere un modello di sviluppo chiaramente insostenibile. Siamo al punto nel quale il presidente della più grande potenza economica e militare del mondo strappa i già timidi e tardivi accordi internazionali e rilancia il consumo del carbone. In questo quadro le cose non possono che peggiorare con conseguenze facilmente immaginabili. Insomma anche le due terribili tragedie di questo agosto italiano ci rivelano il grande problema che la politica ha davanti: rifondare l’ordine internazionale ormai assolutamente incapace di governare i grandi processi di trasformazione dell’economia globale e i loro effetti sui diversi territori e sulla vita quotidiana di tutti noi. Oggi tutti i poteri economici e finanziari, che con le loro scelte determinano i grandi problemi con cui siamo chiamati a fare i conti tutti i giorni nelle nostre città e nelle nostre regioni, hanno raggiunto una dimensione globale e sono diventati di gran lunga più forti degli Stati Nazione. Le organizzazioni preposte al governo dell’economia e della finanza globale, pensate alla fine della seconda guerra mondiale, sono rese impotenti dai cambiamenti geopolitici intervenuti e dai mutati rapporti di forza tra le grandi aree economiche del mondo. E’ una crisi sistemica carica di rischi e di sofferenze per l’umanità che dovrebbe spingere la politica a lavorare soprattutto per ripristinare – attraverso processi di integrazione economica e politica a livello continentale – la sovranità democratica perduta e riscrivere l’ordine internazionale. Purtroppo si sta andando nella direzione opposta e non si intravedono ancora le forze in grado di rimetterci sulla giusta via. I poteri economici e finanziari si muovono considerando solo la logica del profitto, la politica è alla ricerca disperata e continua del consenso immediato – che non coincide col dire la verità e con il lavorare per le soluzioni di lungo respiro – mentre l’opinione pubblica non riesce ad avere consapevolezza delle vere cause del suo malessere. Una situazione per niente semplice ed estremamente preoccupante.