E’ significativo che l’accordo preliminare raggiunto tra Merkel e SPD per la costituzione di una maggioranza di governo in Germania sia fondato sull’impegno a rafforzare l’Europa. Se entro una ventina di giorni si arriverà all’accordo definitivo anche il governo della prima potenza economica europea, dopo la svolta europeista legata alla vittoria di Macron in Francia, sarà impegnato a lavorare per riformare l’Europa in direzione di una maggiore integrazione economica e politica. Non era certo un esito scontato del doppio passaggio elettorale compiuto nei due più grandi paesi del continente, segnato dal pericolo di una vittoria di forze populiste e xenofobe che per ora è stato contenuto. Di ciò dovrebbero gioire anche i più decisi e strenui contestatori della linea di austerità prevalsa nell’eurozona dopo la grande crisi del 2008. Per cambiare anche radicalmente quella politica c’è bisogno innanzitutto che l’Europa vi sia. Ed invece la scelta tra progresso e conservazione è legata proprio all’esito incerto dello scontro durissimo in atto tra europeismo ed antieuropeismo. Dovrebbe esser chiaro che se prevarranno i nazionalisti e la disintegrazione di quel poco di Europa che abbiamo tramonterà ogni possibilità di restituire alla politica, e quindi alla democrazia, il primato sulle grandi concentrazioni economiche e finanziarie che oggi decidono il bello e il cattivo tempo in forza del divario tra la dimensione globale del mercato e il potere ristretto degli Stati nazionali. Saremmo tutti condannati, inoltre, alla marginalità in un mondo nel quale bisogna confrontarsi con giganti come la Cina, ormai assurta a seconda potenza mondiale, che si muove con una strategia globale sostenuta da risorse ingenti (vedi il progetto sulla via della seta) e con gli USA, che con l’attuale aggressiva riforma fiscale stanno ridefinendo di fatto, mossi solo dall’interesse nazionale, gli accordi su cui si regge il commercio internazionale. Purtroppo tutto ciò chiaro non è, considerando la quantità di masse arrabbiate e strette dalla crisi che si fanno usare dai pifferai di turno. Quali scenari ora si possono ragionevolmente aprire per il futuro dell’Europa? Certo per dare una risposta a questo interrogativo bisognerà attendere i dettagli dell’accordo definitivo per il governo tedesco e poi capire quale potrà essere il punto di equilibrio tra l’idea di futuro dell’area euro che sembra emergere in Germania, molto centrata sulla trasformazione del fondo salva stati in fondo monetario orientato allo sviluppo, e l’idea più avanzata di Macron che arriva a proporre un ministro unico delle finanze europeo. Tuttavia non c’è dubbio che l’Italia, che è pur sempre un paese fondatore e la terza potenza economica del continente, in questa partita ha tutto l’interesse a giocare un ruolo importante, tanto più che a dicembre è scaduto il fiscal compact e che nel corso del 2018 si discuterà del suo possibile superamento. Ecco perché, tenuto conto che tra meno di due mesi in Italia ci saranno le elezioni politiche, è auspicabile una campagna elettorale diversa da quella che si sta profilando. Una campagna nella quale gli schieramenti in campo si confrontino su proposte e strategie che consentano agli elettori di scegliere consapevolmente e al futuro governo di giocare questa partita, decisiva per il nostro futuro, nelle migliori condizioni. Purtroppo assistiamo a un rincorrersi di promesse faraoniche palesemente insostenibili nel quadro degli attuali vincoli imposti dagli equilibri di bilancio e dai trattati europei. Il momento è però davvero cruciale per non augurarselo, nonostante lo scetticismo abbia molte ragioni dalla sua parte. E’ giusto nutrire almeno questa speranza.
