L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia rappresenta il più grave atto di guerra in Europa dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Un atto irresponsabile e inaccettabile che avrà ripercussioni gravissime sugli equilibri internazionali e sull’economia dell’Europa e del Mondo. È difficile prevedere come andrà a finire ma per provare ad evitare il peggio le cancellerie internazionali devono saper analizzare con profondità di analisi le cause che hanno prodotto questo disastro per poi ricostruire una visione credibile del futuro ordine internazionale su cui basare una strategia politica dell’Occidente, che ormai manca da più di trent’anni e cioè dai tempi della dissoluzione dell’URSS. Le condanne e gli appelli alla ragionevolezza sono doverosi ma servono a poco. Ciò che può fare la differenza è ricostruire un pensiero politico perché è soprattutto il vuoto politico che ha caratterizzato la troppo lunga stagione neoliberista ad aver prodotto il disastro della guerra in Ucraina e tutti i precedenti disastri degli ultimi decenni: dall’Iraq, all’Afghanistan, alla Libia, di cui sono figli il terrorismo islamico – che rappresenta una minaccia per il Mondo intero – e le troppe tensioni prodotte nella polveriera mediorientale, sempre pronta ad esplodere. Da questo punto di vista sono ancora poche le riflessioni utili e perciò meritevoli di essere proposte come riferimento di un adeguato dibattito che è urgente avviare e far marciare parallelamente ad una necessaria attività diplomatica volta ad ottenere una tregua, un immediato cessate il fuoco, per evitare che la situazione continui a degenerare con tutti i rischi drammatici che ciò comporta. Tra queste certamente l’editoriale apparso ieri sulla prima pagina del Corriere della Sera di Ernesto Galli della Loggia. Provo a sintetizzare il suo pensiero. Galli Della Loggia vede l’invasione dell’Ucraina come il risultato di tre grandi fallimenti: 1) il primo riguarda il Paese invasore, la Russia di Putin che a trent’anni dalla fine dell’URSS è stata “incapace di avviare un processo di crescita economica fondata sul progresso tecnico, sull’industria e sui meccanismi di mercato” come invece ha fatto la Cina. La conseguenza è che l’unico ruolo internazionale che la Russia oggi è capace di svolgere è “affidato al potere delle armi e al ricatto dell’interruzione delle forniture di gas”; 2) il secondo fallimento riguarda l’Unione Europea che non ha considerato l’importanza di realizzare “l’autonomia economica strategica del Continente” ed oggi si trova nella condizione di pagare un prezzo alto in termini quanto meno economici agli sviluppi della crisi Ucraina; 3) il terzo fallimento, che per l’editorialista del Corriere e il maggiore di tutti, è la globalizzazione come realtà e come ideologia perché “Proprio i
fatti ci dicono … che la pratica di un
grande mercato mondiale delle merci, ispira-
to unicamente al principio della concorrenza
e regolato dalla domanda e dall’offerta —
questo è la globalizzazione — sta conoscendo
un numero crescente di smentite”. Questi tre fallimenti di cui parla Galli Della Loggia possiamo sintetizzarli in un unico punto: l’invasione dell’Ucraina è la conseguenza del vuoto di politica che caratterizza l’Occidente da oltre un trentennio, tanto più grave quanti più fallimenti aveva già provocato in diverse parti del Mondo prima della crisi Ucraina l’illusione dell’unilateralismo e del mercato come regolatori dei conflitti geopolitici. Come è stato possibile pensare che con la fine dell’equilibrio fondato sulla competizione regolata tra due blocchi politici e militari contrapposti, ciascuno con la sua area di influenza, si poteva fare a meno di un pensiero e una visione dell’ordine internazionale? O che con la caduta del muro di Berlino si potesse fare a meno di costruire un nuovo sistema di sicurezza condiviso da tutte le potenze del Continente e quindi anche della Russia, che uscita sconfitta dall”89 resta pur sempre la più grande potenza militare del Continente? Il punto non è la globalizzazione in se perché, su questo non condivido il pensiero di Della Loggia, non è vero che la globalizzazione può essere solo un grande mercato delle merci. Questa è stata la versione neoliberista della globalizzazione che è andata in crisi già con la Grande Recessione del 2009. Sarebbe anzi un cadere in un nuovo errore persare di uscire da questa crisi limitandosi a rendere più autonomi dal punto di vista economico i grandi imperi continentali. La globalizzazione è un destino inevitabile. È nella natura delle cose, negli effetti del processo di innovazione tecnologica che rende il mondo interdipendente. Sono le sfide del nostro tempo ad avere una dimensione globale come da ultimo hanno dimostrato le conseguenze dei cambiamenti climatici e della stessa pandemia. Ciò di cui abbiamo bisogno è una globalizzazione che non sia regolata dai meccanismi spontanei del mercato ma dalla politica, dal primato della mano pubblica e dunque del comune destino come chiave di un nuovo ordine internazionale fondato sulla cooperazione, sul dialogo – e non sul conflitto – tra sistemi politici sociali e religiosi diversi. Questo è il deficit che il Mondo moderno deve saper recuperare: il vuoto di politica, di pensiero, di visione senza il quale non possono che vincere i venti di guerra anche se nell’era atomica la guerra è pura follia.
