Ripresa l’attività di governo con la conferma della regia di Draghi – che ora pare tornato ad essere meno disponibile a subire mediazioni al ribasso – l’attenzione si concentra sulla ricostruzione dei partiti e delle coalizioni. Dopo la debacle della politica sulle trattative per il Quirinale, tutti riconoscono che, ad un anno dalla fine della legislatura, è questa una delle urgenze da affrontare. La discussione sul “che fare” non pare però sia partita sotto i migliori auspici. Si parla troppo di contenitori e di riforma elettorale e quasi nulla di contenuti. Intendiamoci, non è che sistema elettorale e carattere delle alleanze contino poco. Ma per dare un senso alla scelta della forma bisogna avere chiaro qual’è la sostanza. Ritornare al sistema proporzionale, rimettendo la selezione degli eletti nelle mani dei cittadini, può certamente aiutare la ricostruzione dei partiti e il rapporto tra questi e la società, ma rischia di sottrarre agli elettori la scelta della coalizione e della politica del governo. Il sistema proporzionale, infatti, rinvia le scelte sul governo a dopo il voto, quando tutto il gioco è solo nelle mani dei partiti, con tutti i rischi di distorsioni e di lungaggini ben noti dai tempi del vecchio sistema politico che ha caratterizzato la prima fase della storia della Repubblica. Lasciare le cose come stanno, magari accentuando il carattere maggioritario del sistema, di contro, significa ripercorrere la strada fallimentare di coalizioni politiche che vengono formate prima del voto, guardando essenzialmente all’ampiezza del perimetro dell’alleanza necessaria per vincere e trascurando, invece, l’omogeneità di visione tra le forze alleate e la chiarezza dei progetti, con la conseguenza, ormai ben nota, di far nascere governi che non riescono a governare. Per evitare di riproporre insostenibili e pericolose situazioni di blocco e di crisi della politica è necessario provare a ricostruire partiti e coalizioni partendo non dalla forma ma dalla sostanza e cioè dalla ricerca di un pensiero condiviso sulla realtà che abbiamo di fronte – così come si va trasformando per effetto di cambiamenti continui e pervasivi – e su visioni comuni del futuro da costruire e quindi dell’indirizzo che si vuole dare a questi cambiamenti e dei progetti da attuare per realizzarlo. Che si stia partendo dalla coda e non dalla testa lo dimostrano la confusione e le ipocrisie che accompagnano il dibattito su come ricostruire le coalizioni. Partiamo dal centrodestra che indubbiamente è uscito dalla partita per il Quirinale con le ossa più rotte di tutti. Salvini propone un nuovo contenitore sul modello del partito repubblicano degli USA per tenere dentro Forza Italia e attenuare la fuga di voti leghisti verso Meloni (ora dipinta come una estremista legata a ideologie sconfitte). Meloni dal canto suo ribatte denunciando “partiti impegnati a dare vita ad alleanze innaturali pur di sopravvivere”. Ma forse il centrodestra è stato qualcosa di diverso da una alleanza innaturale tra europeisti e nazionalisti uniti dal solo interesse elettorale e poi divisi sul governo? E Salvini come pensa di proporre un nuovo contenitore senza sciogliere la contraddizione di un partito che sta con un piede dentro il governo e con l’altro fuori dal governo e dall’Europa? Il centrosinistra sul punto strategico della prospettiva europea non ha le stesse contraddizioni del centrodestra. E tuttavia non basta dire campo largo – e cioè perimetro di coalizione ampio finalizzato alla vittoria elettorale – senza prima costruire convergenze su politiche di governo relative ad ambiente, sviluppo industriale, sanità, pensioni, sicurezza sociale, riforme istituzionali ecc… Tanto più che questa proposta è rivolta ad un campo frammentato, nel quale quello che i sondaggi indicano come secondo partito della potenziale coalizione, esce dalle trattative sul Quirinale spaccato a metà. I 5 stelle hanno abbandonato l’originario atteggiamento protestatario, ridimensionando la propria forza elettorale, ma -quel che della loro forza di un tempo ormai lontano è rimasto nel potenziale campo di alleanze del PD – si divide non su scelte programmatiche ma sugli assetti di potere interni finalizzati alla futura sopravvivenza di leader e parlamentari (che ormai appare la vera e sola bussola che li guida). E come può pensare il PD -ancora prigioniero delle correnti e restio a svolgere un congresso che riarticoli la vita interna su basi politiche e programmatiche – di promuovere una iniziativa culturale e politica in grado di offrire un terreno più avanzato di unità politica della coalizione senza prima ripensare se stesso? Partendo dalla discussione su una legge elettorale che offra spazio al tentativo di costruire una coalizione centrista basata sulla speranza di poter giocare un ruolo di ago della bilancia come mezzo per avere più potere negli incarichi di governo? Il PD non crede che senza contrastare questo tentativo le ragioni della crisi della politica finiscano per trovare nuovo alimento?Anche il ritorno a pratiche lottizzatrici può bloccare e indebolire la politica e la democrazia. Insomma se non c’ è una iniziativa capace di spostare subito la discussione sui nodi politici veri il rischio è quello di perdersi dietro gli effetti, trascurando le cause della crisi e perdedendo tempo prezioso. Le elezioni sono vicine. Se la politica non vuole arrivare bloccata e commissariata anche nella prossima legislatura deve avere il coraggio di uscire dalle troppe “zone di comfort” dimostrando che in Italia ci sono ancora dirigenti politici e non solo politicanti.
