Quirinale: si riaffaccia il rischio gialloverde e Draghi scende in campo

Le indiscrezioni sulla girandola di contatti tra i leader – che hanno segnato la prima giornata dei grandi elettori impegati in un  aula dominata dalla signora “Bianca Scheda” – confermano i due più grandi ostacoli sulla strada di una intesa capace di sbloccare lo stallo sul nome del Presidente della Repubblica senza compromettere la legislatura. Il primo ostacolo, come ripetiamo da tempo, è il dilemma di Salvini che vuole tenere insieme l’impossibile e cioè preservare l’unità della coalizione di centrodestra in vista delle prossime elezioni politiche, trovare un nome che non faccia saltare la maggioranza che sostiene il governo, definire un nuovo assetto del governo che gli dia qualche carta in più da giocare nella competizione con Fratelli d’Italia, che rimasti all’opposizione continuano a sottrarre consensi all’alleato, contendendogli la leadership della coalizione elettorale. Non a caso il “capitano”della lega è stato ieri il leader più attivo sul terreno dei contatti politici. Il secondo ostacolo è rappresentato dalla diaspora dei cinque stelle. Le divisioni del movimento hanno fin qui impedito al centrosinistra di andare oltre il contrasto alla candidatura di Berlusconi e di assumere una iniziativa più incisiva nella partita del Quirinale. Ieri però si è palesato il rischio che queste divisioni possano produrre qualcosa di ben più pericoloso. I cinque stelle possono diventare una mina vagante temibile quanto quella rappresentata dal dilemma salviniano. Dopo le notizie sullo scontro tra Conte e Di Maio sul nome di Draghi, dopo il tentativo di Riccardo Fraccaro, ormai smarcatosi da Di Maio, di mettere a disposizione un pacchetto di grandi elettori a cinque stelle su un eventuale proposta Tremonti – tentativo poi rientrato – ieri si è aggiunta una notizia sulla disponibilità di Conte a sostenere l’ipotesi Frattini, che potrebbe fare parte della rosa di nomi del centrodestra. Insomma, negli incontri tra i due ex esponenti del primo governo della legislatura, poi divenuti acerrimi nemici, è rispuntato il rischio gialloverde che ha già fatto traballare l’Italia per qualche anno, prima del voto per il parlamento europeo e dell’arrivo della pandemia. La fitta nebbia che ancora avvolge il colle più alto della capitale ha spinto Draghi ad abbandonare la sua rigorosa riservatezza. Nella giornata di ieri il presidente del Consiglio è sceso in campo ed è stato protagonista di numerosi incontri politici. Il nuovo Draghi interventista riuscirà ad accorciare i tempi dell’intesa o finirà per allargare ulteriormente il perimetro della trattativa e quindi per allungare ulteriormente le giornate di “Bianca Scheda”? Difficile dirlo. Tuttavia credo che per giocare una mossa vincente dovrebbe porsi un obiettivo ambizioso che certo non si concilia con il ruolo che ha svolto fino ad ora. Per sbloccare l’intesa congiunta sul Quirinale e sul governo di legislatura serve un accordo che – prendendo atto della crisi evidente delle due coalizioni politiche tradizionali di centrodestra e di centrosinistra – prefiguri un compromesso politico capace di garantire stabilità per tutto il tempo necessario a portare fuori l’Italia dall’emergenza sanitaria ed economica. Un tempo ben più lungo di quello che resta alla legislatura. Draghi ha le qualità per tentare l’ardua impresa. Ma da sole non bastano se manca la scelta necessaria di svolgere fino in fondo un ruolo tutto politico.

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