Il mio intervento all’assemblea programmatica della federazione di Caserta del PD

Non si definisce il programma di un grande partito che ha l’ambizione di essere il perno di una coalizione di alternativa nello spazio di una giornata. Un obiettivo realistico è di definire un documento politico programmatico da discutere nei congressi dei circoli – che si terranno a gennaio 2026 – e nel congresso provinciale, per consegnare ai nuovi organismi dirigenti della Federazione di Caserta gli indirizzi generali su cui avviare una campagna di ascolto della società casertana, che ci consenta nei prossimi mesi di approdare ad un progetto partecipato per Terra di Lavoro che ispiri nei prossimi anni l’azione del partito nelle istituzioni e nella società.

Vedremo tra poco i contributi elaborati dai sei tavoli tematici che certo in due ore non possono sciogliere alcuni nodi controversi delle politiche settoriali. Mi sembra opportuno avere come preambolo di un percorso di ricerca programmatica, l’individuazione dei compiti politici che il recente voto regionale ha assegnato sia al PD. Il primo compito è quello di fare i conti con una crisi democratica travolgente, confermata dal calo dell’affluenza alle urne al di sotto del 50% ed in Campania ormai appena al 44,10%. Per avere una idea della dimensione di questa crisi basta pensare che nelle elezioni politiche del 1976 si recò alle urne il 93% del corpo elettorale. Un crollo inaudito di cui è necessario comprenderne appieno il significato.

Il secondo è quello di accelerare la costruzione di un campo progressista che non sia solo necessariamente largo ma anche politicamente identificabile con un programma di governo all’altezza delle sfide che sono davanti all’Italia e all’Europa in questo caotico e pericoloso passaggio epocale che stiamo attraversando. Tanto più che, come ha rilevato la nostra segretaria Schlein, il voto delle ultime 10 elezioni regionali segnala che il PD è il primo partito ed il centrosinistra è avanti al centrodestra. Dunque la partita delle politiche del 2027 è aperta e noi abbiamo il dovere di vincerle perché la nostra vittoria è necessaria per salvare il Paese e per costruire l’Europa politica. Ora noi dobbiamo dirci con schiettezza che se l’alternativa è già credibile sul piano dell’ampiezza della coalizione serve però ancora uno sforzo per riempire questa alleanza di contenuti adeguati alla fase di radicali cambiamenti che stiamo vivendo sul piano geopolitico, in un Mondo che si è lasciato alle spalle l’Ordine Internazionale che lo ha governato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e si muove in modo caotico verso una riconfigurazione della globalizzazione caratterizzata dal conflitto per il primato tecnologico e militare in atto tra i due nazionalismi imperiali di USA e Cina. Dunque serve una iniziativa forte per l’Unità politica dell’Europa, senza la quale non si contrasta l’ondata nazionalista che ormai mina la democrazia rappresentativa e la fiducia dell’elettorato nel sistema.

Il terzo: rilanciare l’iniziativa sulla questione meridionale oggi, perché il voto di Puglia e Campania dimostra che il Sud ha piena consapevolezza del carattere reazionario di un governo che altro non fa se non accrescere le diseguaglianze sociali e territoriali, mortificare le grandi potenzialità del Mezzogiorno la cui valorizzazione è decisiva per la crescita di tutto il Paese.

Alla costruzione di una alternativa che abbia questo respiro la Campania può e deve dare un contributo fondamentale, perché siamo la più grande regione del Mezzogiorno che per le funzioni che esercita, la modernità del suo sistema territoriale e del suo apparato produttivo, per la sua valenza geopolitica, ha un ruolo strategico da assolvere per il Paese e per l’Europa.

Di questo sistema territoriale regionale moderno, vera e propria porta sui grandi corridoi europei di tutte le merci che  dal Mediterraneo – da questo grande connettore tra Oriente ed Occidente – devono raggiungere l’Europa, la nostra provincia è parte essenziale.

Tuttavia il voto provinciale conferma che il sistema istituzionale e politico di Terra di Lavoro ha un grande problema, vive una contraddizione stridente, un divario tra questa modernità delle funzioni che esercitiamo, la valenza meridionale e nazionale di un territorio che contribuisce in modo determinante al processo di riorganizzazione e di riqualificazione dell’area metropolitana regionale, con le funzioni di eccellenza – che esercita nel campo della intermodalità, della ricerca e dell’alta formazione, delle attività produttive ed industriali, del turismo e della promozione culturale – e il prevalere della frammentazione politica, di logiche localistiche e di un trasformismo inaudito, che impediscono di valorizzare questo ruolo centrale dell’area casertana attraverso le scelte di area vasta necessarie a completare il processo di integrazione nell’area metropolitana regionale e di diffusione dell’effetto urbano nelle aree interne, vero cuore verde della Regione.

Il voto di Caserta è  emblematico: la forbice tra le due coalizioni è più stretta rispetto a quella regionale (vinciamo con il 54,14 contro il 43,51 del cd a fronte di un 60,63 e 35,72 del cd sul piano regionale); ed è amplificato il livello di fidelizzazione dell’elettorato alle persone più che ai partiti, ormai resi fragilissimi dalla crisi attraversata da tutti gli organismi intermedi, schiacciati dal processo di disintermediazione legato all’uso distorto delle nuove tecnologie e dall’egemonia della cultura individualista. Il centrodestra elegge dalla provincia di Caserta, tre consiglieri regionali, di questi due avevano fatto parte della maggioranza di centrosinistra che ha sostenuto De Luca e il terzo è un ex socialista approdato, dopo diverse giravolte alla lega per puri calcoli elettorali. Le percentuali raccolte da alcuni di questi eletti del cd nelle città di provenienza vediamo casi clamorosi che arrivano ad oltre 40% in città come Maddaloni e Mondragone, con voti che si spostano da una coalizione all’altra con una disinvoltura assoluta. In qualche modo questa maggiore presa della personalizzazione, spiega anche il divario tra la percentuale raccolta dal PD in Campania, il 18,41% per cento, e quella raccolta dal PD casertano appena 11,81%, sempre primo partito della coalizione ma terza forza dopo Forza Italia e Fratelli d’Italia. Sia chiaro la personalizzazione della politica è figlia della crisi dei partiti e dei corpi intermedi che è un fenomeno che riguarda l’Occidente. Ma non c’è dubbio che nella nostra provincia viviamo questa tendenza generale in modo estremamente esasperato, così come in provincia di Caserta è sempre avvenuto nei passaggi storici fondamentali per ragioni profonde legate ad un assetto territoriale privo di un livello di identità forte, come testimonia la difficoltà della città di Caserta a svolgere fino in fondo il suo ruolo di capoluogo di provincia, che necessita di forme di collaborazione con le città del sistema urbano che la circonda, città che valorizzate, possono contribuire ad attrarre le diverse zone del complesso territorio provinciale, da sempre portate a gravitare su altre province della Campania e perfino su regioni confinanti (est maddalonese, grappolo aversano, area sessana carinolese, aree interne del Matese e di Monte Santa croce).

Elaborare una strategia politica capace di superare questa contraddizione richiede che il gruppo dirigente casertano del PD abbia consapevolezza piena delle cause di questa particolare debolezza del sistema politico provinciale. Cause profonde legate innanzitutto alla crisi politica e istituzionale che attraversa il Paese e a come queste si riflettono in una realtà peculiare come la nostra.

Emblematiche da questo punto di vista le vicende che hanno interessato l’Amministrazione provinciale. L’Ente non è riuscito ad esercitare quella funzione di programmazione di area vasta che le è propria, né quel peso politico in grado di incidere sulle scelte regionali e nazionali che sono necessarie per cogliere fino in fondo le opportunità di crescita e di sviluppo determinate dalle funzioni di livello superiore che nel corso dei 20 anni a cavallo del 2000 sono state localizzate sul nostro territorio, in conseguenza del processo di riorganizzazione e di riqualificazione della grande area metropolitana          regionale – che ormai si estende senza soluzione di continuità, dai nuovi sistemi urbani della pianura a Nord della Campania (i sistemi urbani Casertano, Aversano e Domiziano), passando per Napoli, la sua provincia, il Baianese fino a una parte fondamentale della provincia di Salerno, così come è stata configurata dai grandi cambiamenti intervenuti nel secolo scorso, prima con l’avvento dell’industrializzazione lungo l’asse Napoli Caserta Salerno, poi della rivoluzione informatica avviata dopo la seconda metà degli anni Settanta, destinata a conoscere una nuova, inedita e ancora più impetuosa fase con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale. Lo sviluppo dei settori economici del Terziario e del Quaternario, la competizione indotta dalla globalizzazione neoliberista, hanno reso centrale da decenni anche in provincia di Caserta la “questione urbana” e la diffusione dell’effetto urbano per lo sviluppo dei territori, la cui qualità è sempre più legata a fattori quali la ricerca, l’alta formazione, l’efficienza del sistema dei trasporti, la qualità dell’ambiente, la tutela della salute, la qualità della vita delle persone, la capacità del sistema istituzionale di lavorare in sinergia con tutti gli attori dello sviluppo locale.

Questi cambiamenti hanno accentuato il ruolo strategico della provincia di Caserta e del suo rapporto con l’area metropolitana regionale. Infatti il sistema politico ed istituzionale campano – pur in anni di forte contrapposizione politica legata al processo di deindustrializzazione e al conflitto sociale che ne scaturì, all’esaurirsi delle condizioni geopolitiche che avevano segnato la prima fase della storia della nostra repubblica, con tutte le conseguenze che ne derivarono negli anni Novanta sul quadro politico- nei venti anni a cavallo del 2000 riuscì ad avviare un processo di riequilibrio e di riqualificazione delle funzioni metropolitane di eccellenza in un contesto territoriale più ampio di quello napoletano, sulla base di una programmazione di ampio respiro nel campo del sistema intermodale dei trasporti e della logistica, delle strutture di ricerca e dell’alta formazione, delle attività produttive avanzate, delle infrastrutture energetiche.

E‘ in quel ventennio che la provincia di Caserta diventa destinataria di nuovi investimenti produttivi (vedi il Tarì di Marcianise); della localizzazione dei Dipartimenti della Seconda Università della Campania nelle città di Aversa, Capua, Caserta e Santa Maria Capua Vetere; della più grande scuola militare del Paese e della seconda divisone dell’esercito italiano a Capua; del Policlinico a Caserta; di centri di ricerca in settori strategici, da quello aeronautico – con il CIRA di Capua – a quello agroalimentare nell’ex Fagianeria di Piana di Monte Verna, quello dei Beni culturali e dei Trasporti a San Nicola la Strada; nel campo deII’intermodaIità, con la Stazione di Smistamento di Marcianise, l’lnterporto Sud Europa Maddaloni Marcianìse — forte di una vocazione indiscutibile di retroporto dei porti di Napoli e Salerno — l’Aeroporto internazionale di Grazzanise e il ruolo previsto nel Sistema Aeroportuale Regionale per l’Aeroporto Salomone di Capua, come aeroporto di supporto  a  Capodichino  nel  campo  dei  piccoli  voli  turistici  e  di  affari;  la progettazione della Caserta Mare, con variante di Capua, ti fatto il collegamento della tangenziale di Napoli con i due caselli suII’A1 di Capua e Santa Maria Capua Vetere con una funzione pari a quella che il Raccordo Anulare esercita nell’area metropolitana di Roma; l’Accordo Quadro con Regione e Ministero per la costruzione della metropolitana leggera Capua Caserta Maddaloni e l’inserimento della Ferrovia Alifana nel progetto di metropolitana regionale; grandi infrastrutture per la produzione di energia a Presenzano e a Sparanise; processi di modernizzazione in comparti importanti della nostra agricoltura a partire dall’allevamento bufalino e dal settore lattiero caseario.

Ovviamente sono complesse le ragioni di una realizzazione solo parziale di questa programmazione e di un’opportunità non colta appieno, di un rallentamento e in alcuni casi di un arresto di questi investimenti, di una difficoltà seria intervenuta nel sistema politico ed istituzionale a governare questi processi necessari alla crescita, alla modernizzazione, allo sviluppo del nostro territorio.

Certamente hanno pesato la crisi finanziaria del 2008 e la grande recessione del 2009, che determinarono tagli che hanno bloccato una parte importante della pianificazione di quegli anni certamente l’aeroporto di Grazzanise, l’integrazione del nostro sistema ferroviario nel progetto della nuova metropolitana regionale, il prolungamento della tangenziale di Napoli fino ai nostri caselli sull’A1; Policlinico di Caserta; servizi necessari all’internazionalizzazione della nostra Università: il progetto di riqualificazione del sistema dei Regi Lagni; la riqualificazione delle reti fognarie; la gestione del ciclo delle acque; l’infrastrutturazione delle nostre aree industriali.

Ma un peso lo hanno avuto altri due elementi che vanno attentamente considerati e con i quali occorre fare i conti. Intanto il fallimento delle riforme istituzionali indispensabili per allineare la dimensionedelle istituzioni ai processi economici e sociali che esse devono governare: il fallimento delle Aree Metropolitane; la scelta di trasformare le Province in enti locali di secondo grado che ha inciso negativamente sulla capacita di svolgere la funzione di enti di programmazione di area vasta; il fallimento delle Unioni dei comuni. E’ una questione questa delle autonomie locali che non può non avere un posto centrale nel nostro progetto.

Ovviamente l’insieme di questi fenomeni generali sono al tempo stesso causa ed effetto della crisi della politica, della fine dei partiti. Una crisi generate, come dimostra la deriva sovranista in atto in tutto il mondo. Una deriva che ormai mette in seria discussione la stessa democrazia rappresentativa.

 Una alternativa alla destra e ai suoi valori basati sull’individualismo e sulla legge dei più forti si può costruire se si lavora alla ricostruzione di partiti veri e di alleanze che siano fondate non su convenienze occasionali ma su una lettura condivisa della realtà attuale e su una visione comune del ruolo e del futuro assetto di questo territorio.

 Con le elezioni regionali abbiamo fatto un passo in avanti sul piano della coerenza tra la coalizione campana e quella nazionale. Ora serve un PD forte che possa svolgere il ruolo di architrave dell’alleanza progressista. E’ questa la sfida della stagione congressuale che si apre e che deve portarci fuori da dieci anni di continui commissariamenti. Servono responsabilità, la generosità di mettere il futuro del partito al di sopra di quello di ciascuno di noi, organismi plurali nei quali ci si confronti sui contenuti e si sappia fare sintesi. Serve un partito radicato nella società. Un partito vero che restituisca alla politica il suo primato sulle spinte personali, che elevi il livello del confronto e dell’iniziativa. Serve un congresso unitario. Ma un congresso unitario presuppone una discussione programmatica con tempi adeguati, una cabina di regia che coinvolga le forze essenziali del partito sul territorio provinciale. Assurdo che la proposta del segretario e dell’assemblea maturi intorno ad un tavolo dei soli candidati alle regionali. Cosi non si ricostruisce un partito su basi nuove ma si insiste su uno schema di assemblaggio di comitati elettorali e cioè su un assetto che ha determinato negli anni passati continue divisioni ad ogni appuntamento importante, divisioni che hanno indebolito il partito, e prodotto una lunga scia di commissariamenti.  Non è facile perché si tratta di remare contro corrente. Ma è il PD il solo partito che può tentare di farcela. La strada è in salita ma la meta si può raggiungere se abbiamo la consapevolezza che, come si diceva una volta, tutto dipende solo da noi, dalla responsabilità, dalla passione e dall’impegno di ciascuno di noi e di tutti noi.

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