Convegno sui 150 anni di Museo Campano. Il saluto dell’Amministrazione comunale

 

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Consentitemi innanzitutto di rivolgere a nome dell’Amministrazione comunale un sentito benvenuto agli autorevoli relatori e un sincero ringraziamento al Comitato promotore e all’organizzazione scientifica di questo convegno che vede la partecipazione del mondo accademico Campano e Nazionale, come è giusto fare quando si vuole promuovere una riflessione ed un confronto adeguati al rilievo di un Museo considerato il più significativo della civiltà italica della Campania. Io vorrei soffermarmi in questo breve saluto su due aspetti da discutere e considerare attentamente al fine di individuare le scelte politiche necessarie al superamento dei limiti oggettivi che hanno segnato la vicenda di un Museo  che non è riuscito, nei suoi 150 anni di storia, ad essere fino in fondo centro culturale vivo e vitale all’altezza dell’importanza nazionale dei suoi contenuti. Il primo aspetto riguarda il rapporto inscindibile tra le collezioni del Museo Campano e il luogo che lo ospita, il centro storico di Capua, il secondo attiene all’esigenza di inserire l’immenso valore del patrimonio storico e culturale della Capua Antica e Nuova e dunque anche il Museo Campano, dentro i circuiti dell’economia moderna in modo che costituiscano, come scrisse anni fa il professor Pasquale Coppola nella prefazione di un libro su Capua, “fruizione concreta (non mero passatismo) delle ricche memorie, promozione di contatti, di aperture, di reti”.
Sul primo punto. Quando nel 1869, con la costituzione della Commissione Conservatrice dei Monumenti di Terra di Lavoro, maturò la decisione di riunire e conservare in un unico centro le opere d’arte della provincia, la scelta di Capua non fu unanime. Nella seduta del 1870 venne avanzata la proposta di costruire il nuovo Museo tra le mura della Reggia, poi bocciata con 7 voti contrari e 4 a favore. Successivamente si votò per decidere se la sede del Museo doveva essere a Capua o a Santa Maria Capua Vetere e fu scelta Capua con otto voti a favore, 2 contrari ed un astenuto. Ma anche quando, molti anni dopo, precisamente nel 2007, si decise uno dei pochi investimenti rilevanti a carico del bilancio della provincia, con l’obiettivo di risanare e restaurare la sede, modernizzare i criteri espositivi e la fruibilità delle collezioni – all’epoca ero vice Presidente dell’Amministrazione Provinciale – la decisione non fu proprio una passeggiata, nonostante al Campano fossero destinati solo 5 milioni nell’ambito di un investimento di 200 milioni di euro. Le divisioni campanilistiche sono un tratto costante della storia di Terra di Lavoro. Lo sono almeno dai tempi del vice Regno Spagnolo, quando Capua cessò di esercitare la funzione di centro ordinatorio del piano campano per assumere la funzione esclusiva di città fortezza – antemurale della città Stato di Napoli – e cominciò a imporsi la questione del rapporto tra Napoli e la pianura campana, dalla quale maturò anche la decisione della costruzione della Reggia di Caserta. Contò nella scelta del luogo certamente l’offerta dell’ Amministrazione Comunale capuana, di donare il palazzo dei Duchi di San Cipriano, insieme alle collezioni archivistiche e bibliografiche di straordinario valore storico, come dimostra il recente interessante lavoro del professor Francesco Senatore su Istituzione e società a Capua nel XV secolo, che si è basato in buona parte sui quaderni dei 9 sindaci capuani tra il 1467 e il 1494, raro esempio di registri municipali quattrocenteschi nel Mezzogiorno qui conservati. Ma fu il canonico Gabriele Iannelli a fornire la motivazione più giusta dal punto di vista scientifico e cioè la presenza in ogni angolo del centro storico della Capua medievale di testimonianze di tutte le stagioni dell’architettura medievale del Mezzogiorno – Longobarda, Normanna, Sveva, Angioina, Aragonese, Vicereale, Austriaca, Borbonica – insieme a quelle della Capua Antica, i cui resti furono utilizzati nella costruzione di palazzi e Chiese, per cui davvero l’attuale Capua è un vero unico Museo a cielo aperto, che si sviluppa dentro una struttura urbana diversa dalla maggior parte delle città medievali, avendo conservato quella del sito preesistente, di Casilinum, porto fluviale della Capua antica, città, non dimentichiamolo, che aveva cinquant’anni più di Roma ed era stata una delle grandi metropoli del mondo classico con i suoi 300 mila abitanti e 40 mila schiavi. Insomma Museo e centro storico costituiscono un unicum inscindibile. Tuttavia questa forte relazione tra architettura storia e paesaggio non riesce a rappresentare oggi un punto di forza, perché fortificazioni, bastioni, fossati, castelli ed ex complessi conventuali – in una città che è stata centro religioso e monastico, residenza delle famiglie nobiliari e quindi dei ceti dominanti dell’economia medievale e  poi città fortezza destinata alla difesa dei confini di un Regno – hanno perso da tempo la loro funzione originaria, esercitata al servizio di un territorio vastissimo, e si trovano nella stragrande maggioranza dei casi in uno stato di abbandono, determinando una situazione nella quale la decadenza del centro storico incide negativamente sull’attrattività del Museo. Al tempo stesso i limiti della gestione del Museo, che per la sua dimensione provinciale manca di risorse di personale specializzato (bibliotecari, archivisti, restauratori e quindi di servizi indispensabili come laboratori del restauro dei materiali archeologici accumulati nei depositi, del materiale cartaceo e della stampa, corsi di formazione di restauratori, una banca dati da collegare ad una rete informatica che metta in comunicazione strutture come Università, Soprintendenze, Musei, Biblioteche) non aiutano lo sviluppo di un turismo di massa in città ed in provincia. Al turismo, infatti, che da tempo ha assunto una dimensione globale, non basta la presenza di monumenti di grande interesse storico ed architettonico, di collezioni di grande valore. Per il suo sviluppo è necessario un sistema di imprese pubbliche e private che operino in sinergia tra loro per offrire al turista servizi  diversi che rendano fruibili ambiente naturale, storico, culturale. A 150 anni dalla istituzione del Museo Campano occorre, dunque, una doppia svolta: una svolta nelle politiche di riuso e rilancio del centro storico, una svolta nell’assetto di gestione del Museo. Obiettivi che necessitano di strategie e progetti adeguati da parte sia dell’Amministrazione Comunale che dell’Amministrazione Provinciale. Affinché siano efficaci queste strategie devono partire dalla consapevolezza che per il rilievo nazionale del patrimonio di cui ci stiamo occupando è fondamentale ricercare la massima collaborazione istituzionale e il massimo coinvolgimento di tutte le istituzioni e gli enti che hanno competenze e responsabilità nelle politiche di tutela e valorizzazione del patrimonio storico, architettonico, museale. L’Amministrazione comunale si sta muovendo con coerenza fin dal suo insediamento in questa direzione. Il patrimonio immobiliare del nostro centro storico è costituito per l’80 per cento da architettura militare e religiosa: Castelli, bastioni, fossati, frecce, rivellini, ex complessi conventuali, Chiese. Un patrimonio in gran parte abbandonato, se escludiamo la sede del Dipartimento di Economia dell’Università Vanvitelli, della Compagnia dei Carabinieri, dei servizi del Distretto Sanitario. Un patrimonio in larga parte demaniale, legato al ruolo che la città ha esercitato per lunghi archi di tempo della storia al servizio delle esigenze di un territorio vastissimo, che certo non può essere riusato guardando alle sole esigenze di una città di 18 mila abitanti. Dunque non avrebbe senso fondare una azione di recupero su un intervento che punti a valorizzare di volta in volta il singolo monumento. Serve un intervento organico, globale, che si muova in un ottica non solo di conservazione ma di riuso in senso produttivo. Serve un progetto di recupero integrale in grado di definire una nuova funzione della città in una dimensione territoriale più ampia. Per questo guardiamo alla funzione assunta da diversi decenni dal nostro territorio che sta contribuendo al processo di riorganizzazione e di riqualificazione dell’area metropolitana regionale e di cerniera tra questa e le zone interne della provincia di Caserta. Da decenni ospitiamo funzioni di eccellenza nel campo dell’alta formazione, della ricerca scientifica, di produzioni in settori innovativi: dall’aeronautica alle biotecnologie. Innanzitutto siamo riusciti ad intercettare risorse importanti del PNRR per la riqualificazione urbana, finalizzate a riusare alcuni palazzi storici, da destinare a funzioni di area vasta nel campo dell’istruzione, dell’alta formazione, dei servizi sociali, della sanità. Abbiamo inoltre sottoscritto con l’Agenzia del Demanio, la Regione Campania e la Soprintendenza ai monumenti un verbale di tavolo tecnico operativo che apre al mercato mediante bandi di concessioni di valorizzazione di tutto il patrimonio pubblico, a partire da bastioni ed ex tettoie militari lungo la linea della Cinta Bastionata,  da affidare ad associazioni, a soggetti pubblici o privati in grado di sostenere i costi di investimento e la gestione di attività di tipo culturale, commerciale, sociale, turistico. Un processo che sta già dando i primi frutti con l’affidamento del Bastione Sperone e del Bastione Gran Maestrato e la concessione d’uso dell’ex Convento di San Gabriello al Rettorato per realizzare residenze per studenti. Credo che uno sforzo di modernizzazione e di apertura vada realizzato anche per il Museo. Noi vogliamo fare la nostra parte mettendo a disposizione giardino e locali di Santa Placida per ampliare gli spazi espositivi. La Provincia, però, non può pensare di continuare a gestire da sola un Museo di valore nazionale, che richiede risorse umane, servizi ed iniziative che non sono alla portata del suo bilancio e delle sue competenze. Per troppo tempo la gestione provinciale ha avuto un carattere autoreferenziale e locale che ha impedito di raggiungere canali scientifici e grande pubblico. Lo dico riconoscendo che in questi anni è stato fatto il massimo sforzo possibile da parte del direttore Solino e del CdA, per incrementare i visitatori e valorizzare le collezioni. Ma qui serve coinvolgere la Soprintendenza Archeologica, il ministero dei Beni Culturali, la Regione Campania. Serve far rientrare il Museo Campano nei circuiti dei nuovi ritrovamenti di oggetti d’arte e reperti archeologici. C’è chi ha ipotizzato di dare la gestione direttamente allo Stato. Ma credo si possa ragionare anche della costituzione di una Fondazione che garantisca il coinvolgimento di tutte le istituzioni preposte alla gestione dei beni culturali. A 150 anni dalla istituzione del Museo non possiamo solo continuare a sottolineare il grande valore storico delle sue collezioni. Bisogna affrontare i nodi che vanno sciolti se vogliamo garantire al Museo Campano un futuro davvero degno del suo valore nazionale ed europeo e farne uno dei più importanti laboratori di produzione culturale dell’area metropolitana campana. Con questo auspicio rinnovo i ringraziamenti dell’amministrazione comunale e auguro a tutti voi buon lavoro.

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