L’onda nera è arrivata, alimentata dalla sfiducia nel futuro che pervade un ceto medio sempre più in sofferenza, spaventato dalle crisi di vario ordine che si susseguono dall’inizio di questo secolo e dalla sfiducia nella capacità del sistema democratico occidentale di saper garantire benessere economico e sicurezza sociale, dopo la fine dell’era del compromesso tra capitalismo e democrazia e il fallimento del liberismo di mercato – che invece di globalizzare la democrazia liberale ha finito per segnare l’avanzata dell’autoritarismo, del dispotismo e dei nazionalismi nel Mondo. La storia non si smentisce. Le grandi crisi finiscono per favorire la peggiore destra che ripropone sempre gli stessi schemi: strumentalizzare gli scontenti e la paura dei cambiamenti (perché le crisi non sono mai solo sfascio ma soprattutto trasformazione); diffondere l’illusione che sia possibile tornare indietro, ai vecchi tempi che sembravano migliori – e dentro cui ciascuno si era ritagliato la sua area di comfort; l’illusione che erigere muri e respingere chi è diverso sia il modo migliore per difendersi da qualsiasi pericolo esterno; usare la forza del malessere diffuso, arrivare al potere con i consensi di chi è colpito dalle crisi e poi finire per fare gli interessi dei più forti e provocare profonde ferite sociali. Sconquassi difficilmente rimediabili, tanto più in un tempo nel quale quei vecchi schemi vengono praticati in un contesto caratterizzato da problemi che hanno una dimensione molto più grande dei vecchi stati nazionali. Soffiare oggi sul fuoco dei nazionalismi non solo non è utile per affrontare le sfide delle crescenti diseguaglianze, dei cambiamenti climatici drammaticamente in atto, dello strapotere delle multinazionali e della finanza rispetto alla politica. Al contrario espone a rischi fatali. Pensiamo ai conflitti in atto in Europa ed in Medio Oriente e al pericolo di un loro ampliamento, di una terza guerra mondiale, di un ricorso alle armi atomiche, che viene apertamente ipotizzato e al quale addirittura le grandi potenze si preparano con esercitazioni militari. Preoccupano in particolare i risultati elettorali in Francia – con l’ascesa della Le Pen che ora si prepara a vincere le imminenti elezioni per il parlamento – e in Germania, dove la destra estrema è diventata il secondo partito, subito dopo la CDU e prima di quello socialdemocratico del capo del governo rosso verde. In Italia la crescita del PD – in voti assoluti e non solo in percentuale – e il sorpasso di un ipotetico campo largo sulla coalizione di centrodestra, ci lasciano almeno una speranza rispetto all’amara realtà di un Paese che a 79 anni dalla Liberazione dal nazifascismo e a 76 anni dalla Costituzione antifascista si ritrova con il governo più a destra di sempre. È evidente che il processo di integrazione politica dell’Europa – che subito dopo la pandemia da COVID aveva ricevuto la potente spinta del Recovery Plan e del PNRR, finanziati sulla base del principio che le nazioni più forti aiutano quelle che stanno più indietro – ora rischia di bloccarsi e di tornare indietro fino ad un possibile sgretolamento della Comunità. Una prospettiva drammatica che condannerebbe le nazioni europee, anche quelle considerate piu forti, all’irrilevanza in un mondo nel quale contano solo i grandi Stati di dimensione continentale. Siamo in una fase nella quale è soprattutto sul piano degli sviluppi politici internazionali che si gioca anche la partita interna. Saranno soprattutto gli sviluppi politici su scala globale a decidere della nostra vita. Per fortuna l’onda nera non ha raggiunto l’altezza necessaria per poter cambiare la maggioranza nel Parlamento europeo, che sarà di nuovo incentrata sull’asse tra partito popolare europeo e partito dei democratici e socialisti. Certo nella particolare struttura istituzionale della Comunità i governi nazionali possono frenare il processo di integrazione con danni enormi sulla capacità dell’Europa di muoversi come una potenza globale. Bisogna sapere che in questo quadro è indispensabile costruire una forte alleanza di tutte le forze europeiste, sia a livello nazionale che sul piano continentale, oppure l’onda populista e nazionalista andrà avanti e spegnerà quel sogno europeo che fin qui ha garantito un lungo periodo di pace e ci ha difeso dalle crisi globali. In Italia spetta al PD proporsi come perno di questa alleanza che non può reggere sulla generica proposta di un campo largo da contrapporre all’attuale maggioranza di governo. Serve un pensiero democratico coerente con la prospettiva di una effettiva integrazione politica dell’Europa. Un progetto in grado di unificare tutte le forze che ritengono che oggi la prospettiva europea venga prima delle vecchie contrapposizioni politiche e che una alleanza europeista può e deve svolgere oggi la stessa funzione che nel pieno della Seconda Guerra Mondiale svolse l’alleanza antifascista. Perché è chiaro che senza una nuova Europa capace di restituire alla politica il suo primato sull’economia e sulla finanza è a rischio la stessa democrazia rappresentativa. E questa l’unica prospettiva in grado di far scoppiare le grandi contraddizioni che convivono in questa maggioranza di governo. Come potrà Forza Italia tenere un piede nel PPE e nella maggioranza europeista del parlamento europeo e l’altro nel governo a guida Meloni che strizza l’occhio ai Sovranisti ? E come possono convivere nella lega, ormai lontana dalle percentuali a doppia cifra il nazionalismo becero di Salvini e gli interessi delle forze produttive del Nord? E come farà Meloni a continuare a barcamenarsi tra la necessaria collaborazione con la Commissione europea e il legame con i Sovranisti? Insomma siamo entrati in una fase delicatissima. Nel PD è ora che si apra un confronto all’altezza della posta in gioco. Servono analisi della fase, definizione di un pensiero adeguato e una strategia politica conseguente.
