Saluto all’Arcivescovo Pietro Lagnese. Teatro Ricciardi incontro con le autorità

Autorità civili militari e religiose, signore e signori convenuti, consentitemi di ringraziare pubblicamente Monsignor Salvatore Visco per l’opera svolta in questi anni a sostegno della nostra comunità. Dieci anni nei quali si è consolidata, in tutto il territorio della Diocesi, una rete di solidarietà –  fondata su parrocchie e associazioni cattoliche –  fondamentale nel contrasto al disagio e alla povertà, cresciuti a dismisura in questi anni di continue crisi globali di diversa natura, responsabili del ritorno a livelli insostenibili delle diseguaglianze sociali. L’Amministrazione Comunale di Capua gli è grata, in particolare, per la proficua collaborazione, fondata su un confronto schietto, e perciò a tratti non semplice ma certamente fecondo, utile a costruire le premesse che consentiranno nei prossimi mesi – d’intesa con il Rettorato della Vanvitelli e con il CdA del Museo Provinciale Campano – di restituire una funzione culturale a due gioielli dell’architettura religiosa del nostro centro storico, come la Chiesa di Santa Maria delle Dame Monache e gli spazi della Chiesa di Santa Placida. Una collaborazione che sono certo continuerà con Monsignor Pietro Lagnese, di cui abbiamo accolto la nomina ad Arcivescovo di Capua con sentita partecipazione per  il suo alto profilo culturale, la vicinanza ai più deboli e ai problemi del territorio che ne hanno caratterizzato l’opera alla guida della Diocesi di Caserta e – non ultimo – per le profonde radici che lo legano ai nostri luoghi: i luoghi nei quali è nato, ha studiato, ed ha svolto incarichi curiali di primo piano tra il 1988 ed il 1994. La cooperazione con la Curia riveste per noi – insieme all’intesa finalizzata alla valorizzazione dei beni demaniali,  che stiamo realizzando con i Demani dello Stato e della Regione Campania e con la Soprintendenza ai Beni Culturali –  un ruolo strategico, anche per la natura e la qualità del nostro centro storico, costituito per circa l’80 per cento del suo straordinario patrimonio culturale e immobiliare da architettura religiosa e militare: numerose Chiese, complessi conventuali oggi, tranne poche eccezioni, in stato di completo abbandono, due Castelli, fortificazioni, bastioni, ex polveriere e tettoie militari, fossati, rivellini, camminamenti, che hanno perso da tempo la loro originaria funzione al servizio di un territorio vastissimo e ora stentano a trovarne una nuova. Se insieme, Demanio pubblico e Curia, non saremo in grado di riaprire, di riusare tutto questo, Capua non avrà un bel futuro. Un patrimonio di valore regionale e nazionale frutto del ruolo che la città ha svolto per secoli quale centro ordinatorio dell’intera Campania Felix. Capua medievale è sorta, nel pieno delle invasioni barbariche, in quest’ansa del Volturno, vocata, per opportunità di sito, a garantire sicurezza alle forze portanti della società medievale: la nobiltà ed i clero. Non è un caso se ancora oggi la sua Diocesi esercita la sua competenza su un area molto vasta, che passando per Santa Maria e Marcianise arriva fino ad Ercole, dentro i confini del comune capoluogo. Più o meno lo stesso territorio governato dai capitani aragonesi, nel corso del Quattrocento, forti di un livello di autonomia amministrativa, che solo la terza città del Regno poteva a quel tempo consentirsi. Ecco perché l’impegno per la sua tutela è al tempo stesso un dovere e una opportunità per tutte le istituzioni. Il suo riuso, infatti, oltre a preservare l’identità più profonda e, oserei dire, intima del piano campano, può  contribuire a rafforzare quel ruolo moderno assunto ormai da tempo da tutto il sistema urbano che si estende da Capua a Maddaloni: contribuire, cioè, a quel processo di riorganizzazione e di riqualificazione della grande area metropolitana campana,  estesa, senza soluzione di continuità, da Caserta ad Aversa a Napoli a Salerno. Insomma siamo investiti da tempo da trasformazioni radicali che hanno conferito a tutta l’area capuana e casertana, funzioni di eccellenza di livello metropolitano: dall’alta formazione – con i Dipartimenti dell’Università Vanvitelli, con la Caserma Salomone di Capua, che ospita la più grande scuola militare del Paese e la prima divisione dell’Esercito del Mezzogiorno, con la Scuola Nazionale dell’Amministrazione e la Scuola Specialisti dell’Aeronautica, ospitate nel Palazzo Reale di Caserta; alla ricerca avanzata, con il CIRA di Capua e i centri di competenza funzionali al trasferimento tecnologico in settori strategici dell’economia; alle infrastrutture dell’intermodalità – dalla Stazione di Smistamento di Marcianise, unica porta del Mezzogiorno sui grandi corridoi europei, all’Interporto Sud Europa di Maddaloni Marcianise, decisivo per la crescita dei porti di Napoli e Salerno; allo sviluppo del sistema aeroportuale regionale, che passa necessariamente,  attraverso il ruolo dell’aeroporto di Grazzanise, nel campo del cargo aereo, e dell’aeroporto di Capua in quello dell’aviazione civile, non a caso tornati all’attenzione dell’ENAC. Governare questi cambiamenti è una sfida che si vince solo operando insieme:  Comuni, Provincia, Regione, istituzioni religiose e tutte le istituzioni dello Stato: da quelle chiamate ad amministrare la giustizia, a garantire legalità, sicurezza, salute pubblica; fino alle organizzazioni sindacali, imprenditoriali, all’associazionismo diffuso. Ecco perché trovo  fuorvianti  le preoccupazioni localistiche suscitate dalla scelta di Papa Francesco di unire nella persona del Vescovo le Chiese di Capua e Caserta. Lungi da me  ogni pretesa di esprimere giudizi di merito sul progetto di Riforma della Chiesa che si muove in coerenza con la sua dottrina sociale, tesa ad affermare il primato e la dignità della persona, la subordinazione dell’attività economica al bene comune. Ma non posso non sottolineare come questo suo sforzo di mettersi in sintonia con un tempo del tutto nuovo, incontra la richiesta di tanti Sindaci e amministratori di una riforma radicale del sistema delle autonomie locali, oggi articolato su istituzioni i cui confini non coincidono con la modernità dei fenomeni economici, urbanistici, ambientali, che sono chiamate a governare. Una riforma che parta dai comuni e aiuti ad unire, non a lacerare ulteriormente il Paese. Ripensare assetti e competenze dei diversi livelli istituzionali è il segno dei tempi. Tempi segnati da una rivoluzione tecnologica che cambia di continuo il nostro modo di vivere, rende arduo anche solo provare a delineare una visione di lunga durata. Il futuro ci arriva addosso prima che riusciamo ad immaginarlo, semina spaesamento, paura, chiusure, perdita del senso di un destino comune. Siamo davanti ad una contraddizione insostenibile tra l’unificazione globale dei destini della specie- determinata da sfide come i cambiamenti climatici e le grandi migrazioni – e la frammentazione degli interessi, con il conseguente dilagare della cultura individualista, l’indebolimento della politica. Un contesto generale che ci ha condotti ad un punto della vicenda internazionale nel quale rischiamo di perdere i beni più preziosi che abbiamo conquistato dopo la Seconda Guerra Mondiale: la democrazia rappresentativa in Occidente e la pace nel Mondo. Insomma individualismo e localismi possono distruggerci, sono anch’essi peccati del Mondo. Tutto ciò ci chiama ad una riflessione comune perché nessuno da solo ha le risposte. La Chiesa ha dimostrato di avere consapevolezza di questa necessità. Già Papa Benedetto XVI, dopo la grande crisi finanziaria del 2008, aveva affidato al Pontificio Consiglio della Cultura la missione di dare vita ad un moderno “Cortile dei Gentili”, per promuovere uno spazio di confronto con le altre religioni e tra credenti e non credenti. Uno spazio di apertura alle ragioni dell’altro, nella consapevolezza che solo uno sforzo di avvicinamento tra ispirazioni ideali diverse può riaffermare il primato dell’interesse generale. Con papa Francesco è ulteriormente cresciuta la sua capacità  di delineare una visione globale, di parlare a tutti, con quel richiamo forte nell’Enciclica Laudato Si, a “correggere modelli di crescita incapaci di garantire il rispetto dell’ambiente”, quel richiamo a mettere “in discussione la logica soggiacente alla cultura attuale”. Insomma siamo in un tempo nel quale l’impegno sancito nell’accordo di revisione del Concordato del 1984, “alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese” assume un significato più pregnante per affrontare nuove sfide e rispondere alle inquietudini che attraversano la società moderna. Spetta a tutti noi, pur nella diversità dei ruoli, in ogni territorio, saper raccogliere questo impegno, favorendo il dialogo interreligioso e il dialogo tra credenti e non credenti. Dialogo possibile su quella linea di confine rappresentata dal mistero che, per dirla con Norberto Bobbio, “la ragione non riesce a penetrare fino in fondo e le religioni interpretano in vari modi”. Mistero che appartiene a tutti perché oltre la realtà sperimentabile c’è l’ignoto e l’inconoscibile. Solo il dialogo può farci riscoprire il valore della fratellanza. Solo la collaborazione istituzionale può arginare l’individualismo imperante che sta svuotando ogni organismo intermedio, sta determinando un corto circuito tra dinamiche politiche e dinamiche sociali. Se ci riflettiamo è quello che la funzione pubblica impone ogni giorno a politici e funzionari fedeli alla costituzione repubblicana: tenere unite le comunità prescindendo dalle diverse posizioni ideologiche o religiose che le attraversano, nella consapevolezza che costruire ponti non è rinuncia alle proprie convinzioni ma una assunzione di responsabilità per affermare il bene comune.Ed è con queste convinzioni profonde, con un forte senso del limite e sincera volontà di collaborazione, che rivolgo un caloroso e sentito benvenuto al nuovo Arcivescovo di Capua Pietro Lagnese. Buon lavoro e grazie per quello che fate.

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