


Giorgio Napolitano ha avuto un rapporto profondo con la provincia di Caserta ed in particolare con la nostra città. Lo ricorda nel suo libro autobiografico “dal PCI al socialismo europeo”. Scrive Napolitano – che nel 1951 fu inviato da Giorgio Amendola a dirigere la federazione comunista di Caserta: “percorrendo quella vasta provincia in lungo ed in largo – 100 comuni, in parte dei quali non esisteva la sezione del PCI – vidi da vicino quale fosse la misera delle condizioni di vita civile di tanti paesi e di braccianti e di contadini poveri, mi compenetrati con i problemi di quei lavoratori così diversi dai problemi della classe operaia che avevo conosciuto a Napoli. Al di là dei sacrifici e delle ristrettezze di vita personali furono anni di assai difficile lotta politica e costruzione del partito, di notevole sforzo per portare avanti battaglie per la terra e per il lavoro, battaglie di riscatto sociale e civile nel solco del Movimento per la rinascita del Mezzogiorno. Caratteristica di quel movimento – quale potei sperimentare e quale fu poi oggetto di preoccupazioni critiche e di correzioni – era un certo modo di essere indistinto, nel senso che in esso confluivano quasi senza confini presenza e iniziativa dei partiti (comunista e socialista), dei sindacati, ancora poco strutturati e poco affermati come soggetti autonomi, e di altre ancora più embrionali rappresentanze associative (ad esempio, dei contadini). L’insieme di quelle organizzazioni, tutte schierate all’opposizione, e dei loro militanti, era bersaglio di pesanti discriminazioni e repressioni. Nessuna rivisitazione storica di quel periodo, delle responsabilità della sinistra e delle ragioni della DC e dei suoi alleati, può cancellare esperienze come quelle vissute anche da me in quanto dirigente locale del PCI: esperienze di ingiustificabile compressione, da parte delle autorità di governo, della polizia, della magistratura, di elementari diritti di libertà e garanzie costituzionali… A Caserta, come segretario della Federazione del PCI, sperimentai altri sistematici abusi: non era consentito stampare e affiggere un manifesto, promuovere una manifestazione politica o sindacale, diffondere un giornale di partito, senza preventive autorizzazioni che venivano sommariamente negate, a piacimento dalla Questura e dalla Prefettura. E c’era di peggio: interventi polizieschi per rompere manifestazioni e contrastare agitazioni, fino all’arresto – in occasione di uno sciopero di braccianti – del segretario della Camera del lavoro, del segretario della Federbraccianti, del mio più qualificato collaboratore nella segreteria della Federazione comunista Enzo Raucci. Fecero carcere preventivo e vennero condannati a due anni, poi ridotti in appello. Successivamente Raucci fu eletto deputato e mi rimase sempre legato da profonda amicizia”. Enzo Raucci fu testimone di nozze, insieme a Gerardo Chiaromonte, di Giorgio Napolitano e Clio Bittoni. E Giorgio fu testimone del matrimonio tra Enzo Raucci e Tina Mandolfi. Fu questa amicizia molto stretta con Enzo la ragione di un rapporto molto profondo tra Napolitano e la città di Capua. È difficile ricordare una campagna elettorale politica che non abbia registrato il comizio di Giorgio Napolitano in città. Ricordo il suo comizio di apertura della campagna elettorale nelle amministrative del 1988 in piazza Annunziata – tenuto insieme a me, allora giovanissimo capolista del PCI al consiglio comunale – con riferimenti forti e precisi al grande patrimonio storico e architettonico della città, che lui ben conosceva, e all’esigenza di partire dal suo recupero e riuso per uscire dalla lunga fase di decadenza, facendo leva sui processi di razionalizzazione e riorganizzazione dell’area metropolitana regionale, accelerati dal terremoto del 1980 e a quel tempo in pieno sviluppo con la delocalizzazione sul nostro territorio del CIRA, della nuova Scuola Militare di importanza nazionale e con il lavoro del parlamento nazionale e del consiglio regionale della Campania, propedeutico alla istituzione del Secondo Ateneo Campano, che avrebbe visto localizzare gran parte delle sue Facoltà nelle principali città della provincia, Capua compresa. Possiamo dire che non c’è processo di trasformazione economica e sociale intervenuto in provincia di Caserta negli anni della Repubblica – dall’occupazione delle terre nell’immediato dopoguerra, che cambiarono il volto della nostra agricoltura, liberandola dal peso del latifondo; allo sviluppo industriale per poli ed assi degli anni Sessanta e Settanta; alla fase di deindustrializzazione e di diffusione dei servizi e dell’effetto urbano nel corso degli anni Ottanta; agli anni del contrasto alla penetrazione della camorra – divenuta imprenditrice, grazie al controllo del traffico della droga e dei flussi di danaro pubblico legati alla ricostruzione del dopo terremoto – nelle istituzioni locali, che non abbia registrato il contributo di elaborazione, di iniziativa politica, sociale, parlamentare ed istituzionale di Giorgio Napolitano. Contributo manifestato in qualità di dirigente politico nazionale, di parlamentare eletto nel Collegio della Camera dei Deputati Napoli Caserta, costruito a volte dai banchi dell’opposizione, altre da quelli del governo ma sempre con spirito costruttivo e con eccellente livello di competenza, di preparazione, di equilibrio e di serietà. Sono tanti i ricordi anche personali che in queste ore mi ritornano alla mente. Grande il dolore per la perdita del principale punto di riferimento di tutta la mia ormai lunga vita politica, un vero esempio e maestro di vita per tutti. Ci saranno certamente momenti di riflessione e di confronto sull’eredità politica di inestimabile valore che Giorgio Napolitano lascia al Paese ed all’Europa. Ora è il momento di salutare con immensa stima e affetto la personalità politica più rappresentativa del migliore riformismo del PCI e della sinistra Italiana, un grande statista – meridionalista e europeista convinto, determinato e coerente – un padre della nostra Repubblica e della nostra patria. Alla moglie, ai figli, alla famiglia le più sentite condoglianze.



